14 Maggio 1944 - UCCISIONE DI ATTILIO PICCOLI, REGGENTE DEL FASCIO DI RECOARO.
L'esecuzione qui riportata non rientra nelle operazioni della Brigata Stella, ma si colloca tra le azioni del gruppo di Malga Campeto e la formazione della Garemi (17 maggio)
Riporto dalla pagina facebook di Fin Giorgio
I fascisti di Recoaro alle ore 3 dell'8 maggio 1944 avevano teso un'imboscata a una pattuglia partigiana in transito nella contrada Riva di Staro causando vari feriti, tre dei quali non sopravvissero: il capopattuglia Stefano (detto Nino) Stella "Traingher", Domenico Roso "Binda" e Severino Sbabo "Vecio".
Era la prima volta che succedeva un fatto così grave nella zona e per questo i partigiani ritennero necessario reagire in modo veloce e clamoroso. L'azione più giusta sarebbe stata individuare ed eliminare chi aveva fatto la spia, perché un agguato così ben architettato era sicuramente frutto di una delazione: qualcuno aveva comunicato i movimenti dei partigiani al reggente del fascio di Recoaro, il geometra Attilio Piccoli, il quale aveva quindi mandato tre dei suoi fascisti a Riva di Staro a tendere loro l'imboscata. Ma chi aveva dato quella informazione?
Varie le ipotesi subito formulate, ma nessuna era fino in fondo plausibile. Sarebbero occorse indagini accurate, che avrebbero richiesto chissà quanto tempo. Una cosa però era chiara: la persona sicuramente responsabile dell'agguato era chi lo aveva ordinato, cioè il Piccoli. Si poteva cominciare da lui. Bisognava catturarlo, anche perché lui certamente sapeva chi era la spia che l'aveva avvisato. Ma come fare a prenderlo?
L'idea giusta venne ad Alessandro Boaretti "Max", che faceva parte del comando di zona. Il piano consisteva nel tendere una imboscata al Piccoli, sfruttando la relazione che egli aveva con una certa Gisella, detta Giusy, che abitava in contrada Gecchelini sopra Staro. I partigiani, quindi, avvicinarono in qualche modo la donna e con minacce o con false promesse hanno fatto in modo che essa scrivesse una lettera al suo amante, invitandolo ad un appuntamento. Il luogo indicato era il “solito posto”, cioè alla Fonte Jolanda di Staro, alle quattro del pomeriggio di domenica 14 maggio 1944. Nella lettera gli chiedeva del filo per cucire, delle sigarette di una determinata marca che lei preferiva, cioccolata e altre cose.
La Fonte Jolanda, situata in una località appartata, tra i boschi, era un tempo rinomata e frequentata per le sue acque ferruginose e ricche di sali. Con l'avvento delle due guerre mondiali era però andata in declino e l'edificio che vi era stato costruito (vedi foto), era già cadente al momento dei fatti. Oggi quell'edificio non esiste più e dalla fonte sgorga solo un piccolo rivolo di acqua rossastra e un po' frizzante. La Fonte Jolanda, proprio per la sua collocazione appartata ed in disuso, si prestava quindi benissimo agli incontri segreti dei due amanti, ma si prestava benissimo anche per un agguato. Nel coinvolgimento della Giusy probabilmente ha avuto un ruolo importante un certo Victor Piazza un doppiogiochista che in quel periodo voleva accreditarsi presso i partigiani. La donna, da parte sua, non era così ingenua da non capire che con quella lettera avrebbe trascinato il suo amante in una vera trappola, ma probabilmente ha accettato perché non aveva alternative o perché le avevano fatto credere che gli avrebbero risparmiata la vita, per interrogarlo e sapere da lui chi era la spia, insomma «doveva essere preso vivo». La lettera quindi venne scritta e recapitata.
Ora si trattava di organizzare l'imboscata. L'operazione fu affidata al capopattuglia
Gino Ongaro (Ursus), che conosceva bene la località. In tre si recarono nel luogo dell'appuntamento: "Ursus", "Aquila" (Benetti Rino di Recoaro) e "Tarzan" (Oscar Dal Maso). Si appostarono nei pressi della fonte nascondendosi dietro a dei massi: "Ursus" da solo e gli altri due a qualche decina di metri più avanti.
Attilio Piccoli aveva ricevuto la lettera della Giusy: la scrittura era proprio la sua e il contenuto comprendeva dei particolari che solo lei poteva scrivere. Tuttavia, prudentemente, partì ben armato e accompagnato dal suo cane lupo. Lungo la strada, a Staro , incontrò un certo Vasco che abitava a Codivolpe. Insieme presero un bicchiere di vino e poi decisero di fare un pezzo di strada insieme, poiché il Vasco per tornare a casa doveva passare dalla fonte. “Ursus” li vide arrivare, ed essendo l'unico dei tre che conosceva il Piccoli, dal suo nascondiglio lo indicò ai compagni. Il cane però, man mano che si avvicinava al luogo ove erano appostati i partigiani, cominciò a dare segni di irrequietezza e, avvertendo la presenza di estranei, si mise ad abbaiare. Piccoli allora, allarmato, mise le mani in tasca impugnando la pistola. Avanzarono e oltrepassarono il punto ove era appostato "Ursus", venendo a trovarsi proprio nel mezzo tra costui e i suoi compagni. Allora, secondo i piani, "Tarzan" gli si parò davanti e gli intimò: «mani in alto!». Il Piccoli, per niente intimorito, reagì e sparò con la pistola due o tre colpi contro "Tarzan" senza colpirlo. Poi si girò e cercò di scappare tornando di corsa da dove era venuto. Ma a sbarrargli la via di fuga uscì allo scoperto "Ursus". Il Piccoli, vistosi circondato, sparò ancora e questa volta colpì "Ursus" ad un piede. Questi rispose con una sventagliata di mitra che quasi tranciò il collo al segretario del fascio, uccidendolo all'istante. Nella sparatoria rimane ucciso anche il cane. Della sorte di Vasco, illeso, non si hanno notizie: o fuggì oppure fu lasciato andare. "Ursus" aveva l'ordine di catturare il Piccoli vivo, ma, a causa della sua imprevista reazione, le cose erano andate diversamente. Il partigiano perquisì quindi la vittima trovandogli addosso una seconda pistola ed anche alcune bombe a mano. Lo lasciò quindi sul posto e, nonostante la ferita, si allontanò riuscendo con fatica a raggiungere i due compagni, per spostarsi poi in contrada Malunga, ove ricevette le prime cure in casa di Albino Gaspari "Scalabrino".
La risposta partigiana all'imboscata di Riva di Staro non poteva comunque essere più tempestiva, forte e chiara. Non sappiamo se dopo la soppressione del Piccoli sia continuata la ricerca dell'autore o degli autori della delazione: non ne abbiamo traccia né nei documenti né tra le testimonianze. Ugualmente non abbiamo notizie se i tre fascisti che materialmente hanno eseguito l’imboscata l’abbiano poi passata liscia. In ogni caso quello che è certo è che la spia o le spie non sono mai state individuate.