La La Tagliamento, feroce formazione esclusivamente antipartigiana agli ordini dei tedeschi si è insediata a San Vito di Leguzzano; il comando partigiano della Garemi avrebbe intenzione di logorarla con assedio e puntate, ma viene arrestato dallo stessa "Barba", il conte Augusto Ghellini comandante del gruppo territoriale autonomo Cesare Battisti. Il “Barba” era stato poi arrestato e detenuto assieme a Mario Fiorenzo Costalunga “Argiuna”.
E' per Alberto e la Garemi l'occasione per serrare i rapporti con gli autonomi in una azione congiunta.
Si progettò di attaccare il comando della "Tagliamento", posto nella "casa della dottrina" di San Vito di Leguzzano; un'azione impegnativa, ma che poteva portare anche alla conquista di armi e soprattutto munizioni di cui i partigiani erano scarsi. Sarebbe stata la più grossa operazione di guerra compiuta dai partigiani: era stata perfettamente organizzata. Un tedesco forniva giornalmente la parola d'ordine per entrare nel comando della "Tagliamento".
Gli uomini dovevano essere forniti dalla “Stella" con i battaglioni "Cocco" (comandante Francesco Gasparotto "Furia" e commissario politico Armando Frigo "Spivak") e "Tordo" (comandante Gino Soldà "Paolo" e commissario politico Gino Massignan "Renzo"); il Btg. “Ismene” della Brigata “Pasubiana” (sempre della Garemi, comandante Ferruccio Manea "Tar") e dal Gruppo territoriale autonomo "Cesare Battisti".
Dalla Zona di Selva viene mandato presso il battaglione "Cocco" il commissario politico della Stella "Catone" che per questo sarà assente al rastrellamento della Piana di Valdagno.
Il punto debole di tutta l'operazione è che non esiste un comando unico e riconosciuto.
Il Tar, sospettando che qualcuno degli autonomi abbia parlato con i tedeschi e valutando lo scarso coordinamento, propone, però, di sospendere l’attacco, consiglio fatto proprio dal Comando “Garemi”; gli uomini della “C. Battisti” tornano in pianura, viceversa quelli del Btg. “Cocco”, prima di risalire verso il Faedo vogliono chiudere in bellezza attaccando da soli la 5^ Compagnia della “Tagliamento”.
Inizialmente lo scontro è a favore dei partigiani: i fascisti si ritirano, ma una mitragliatrice sistemata sulla torre campanaria di San Vito arresta i partigiani e i fascisti con riforzi vanno al contrattacco.. Salva la situazione il Tar che fa intervenire i suoi uomini che permette al Btg. “Cocco” di sganciarsi.
Sono feriti in combattimento i partigiani, Pietro Bragion “Eros” e Giuseppe Corà “Cielo”; catturati, sono poi uccisi fracassandogli la testa con i calci dei fucili dai militi Perricone e Genovesi, e a colpi di pugnale dal tenente Schianchi.
Nello scontro muore anche un milite della “Tagliamento” (Battista Volpi, da Milano), e uno è portato via dai partigiani, ma poi rilasciato.
“Eros” e “Cielo” vengono sepolti, in un’unica fossa, assieme al comandante partigiano, torturato e fucilato il 6 settembre, Mario Fiorenzo Costalunga “Argiuna”; tale tipo di sepoltura avviene perché “…disse il sig. tenente Schianzi [Schianchi], noi li conosciamo comunisti, quindi atei, quindi non cassa, non funerale, non sacerdote per la benedizione al momento dell’inumazione”.
Lo stesso giorno, a S. Tomio di Malo, Francesco Marchioro è arrestato dai militi della “Tagliamento” e portato a S. Vito di Leguzzano. L’accusa è di aver ospitato nel suo mulino la famiglia Cisco, cui appartiene la fidanzata del conte Augusto Ghellini “Barba”, comandante del Btg. Territoriale “C. Battisti”. Il Marchioro è interrogato e seviziato per giorni interi dal sottotenente Aldo Giovannozzi.
Nel frattempo i tedeschi e i fascisti scatenano l'attacco a Piana di Valdagno.
I nazi-fascisti coinvolti: