Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

XXI

Il giorno sei luglio mentre si stava desinando e con noi desinavano pure i partigiani, ci venne all'improvviso una staffetta dicendoci che c'erano dei tedeschi che venivano da Valdagno alla volta di Marana. Abbandonammo all'istante il cibo, che s'intrangugiava di malavoglia e noi borghesi fuggimmo nasconderci nei boschi, mentre i partigiani si portarono sui colli più alti e cominciarono una sparatoria furibonda. I tedeschi erano venuti fino ai Bertoldi per prendere gli animali e roba ivi abbandonata da loro, il giorno precedente e fortuna nostra se non udirono gli spari dei partigiani, altrimenti ci sarebbero stati nuovi guai dolorosi per noi Maranesi! Pure nei giorni seguenti i nostri giovanotti seppellirono cinque partigiani rimasti uccisi nel rastrellamento del giorno precedente alla Bocchetta.

XXII

Il giorno sette luglio, verso sera, ci fu un piccolo attacco a S. Pietro Muzzolino.

Il giorno otto luglio, una squadra di tedeschi e fascisti andarono a Campodalbero e vi rimasero fino il giorno undici. In quel giorno, dopo essersi ben pasciuti e ubriacati, con alimenti sottratti alla popolazione, bruciarono una casa della contrada Loessi e uccisa una donna che si trovava in una baita. Lungo la strada che conduce a Crespadoro, nella contrada Loatini, uccisero cinque uomini, che con i familiari, stavano desinando, essendo mezzogiorno. Bruciarono due stalle. Di più uccisero altre persone: il mugnaio e suo figlio della contrada Sanzini e due della contrada Zancon che si trovavano al mulino per prendere della farina. Sicché in quella giornata rimasero uccisi ben dieci borghesi.

XXIII

Il giorno nove luglio, domenica, bruciarono S.Pietro Vecchio e Nuovo e contrade del comune di Altissimo. In quella sera a S.Pietro ci fu una grande battaglia tra partigiani, tedeschi e fascisti, i quali lasciarono sul terreno un bel numero di morti. Anche molti abitanti rimasero uccisi per

rappresaglia. In questo sterminio distrussero pure la stupenda chiesa di S.Pietro Nuovo e, se ciò non bastasse, uccisero barbaramente il Parroco: Don Luigi Bevilacqua, uomo d'insigne virtù e di grande bontà.

XXIV°

Il giorno dieci luglio i nazi-fascisti andarono per Campofontana, sparando col cannone verso Campodavanti. In tal giorno bruciarono anche la contrada V olpiana.

Il giorno dodici fu una giornata abbastanza calma.

Il giorno tredici, da Bolca, spararono col cannone per tre ore continue sul nostro versante, fino alla metà del monte Marana. Ma per grazia di Dio non successe alcuna disgrazia.

Da questo giorno fino ai primi di settembre, avemmo un periodo abbastanza tranquillo. I partigiani si tenevano nascosti e le staffette si portavano qua e là usando sempre gran precauzione per non destar sospetti e per evitare altre noie al paese.

XXV°

L'otto settembre si vociferava che i partigiani avevano occupato Valdagno, ma ciò non era vero.

XXVI'

Il giorno nove settembre i fascisti e tedeschi circondarono i partigiani che si trovavano nella zona tra la Piana di Valdagno e Campanella di Altissimo. Dopo una estrenua lotta, i partigiani si sono dovuti ritirare lasciando sul terreno diversi morti e tra le mani dei nemici un bel numero di prigionieri. La perdita di tedeschi e fascisti non si poté sapere.

Grave fu la rappresaglia fatta alla popolazione coll'uccidere e incendiare.

In questo giorno cominciò il grande rastrellamento, che portò la distruzione quasi totale dei paesi posti fra le vallate Chiampo e Progno.

La sera del tredici settembre, dei partigiani con loro comandante "Leopardo", giunsero qui alla contrada Pasquali, con alcuni cavalli. Poco dopo del loro arrivo, giunse un partigiano dal monte, avvertendoli che una squadra di tedeschi passava dalla strada Campetto per portarsi verso Campodavanti.

Udito ciò, comandante e partigiani presero i loro cavalli e, pregati anche dalla popolazione, ritornarono a Campodalbero.

XXVII

All'alba del quattordici settembre, ci fu un incontro tra tedeschi e un capo di partigiani ai Cracchi di Bolca. Vi rimasero uccisi due ufficiali e un soldato tedeschi.

Per questo motivo la stessa mattina appiccarono fuoco verso le Calvarine, e man mano che si avanzavano, incendiarono le case.

Nei pressi di S.Pietro i tedeschi catturarono quattro uomini e dopo averli caricati di munizioni e fattele portare più avanti, li uccisero. Durante la giornata arrivarono fino a Sopra Castello di Durlo, bruciando e distruggendo tutto ciò che trovavano nella loro marcia furibonda.

Stando a Marana si sentivano le grida della gente e dei bambini terrorizzati, che fuggivano a nascondersi nei boschi e il muggito delle mucche in balia a sé stesse. E mentre accadeva tutto ciò, i barbari si divertivano al suono della fisarmonica, accendendo maggiormente il nostro sdegno.

Nel paese stesso di Durlo, due bambini trovarono una bomba inesplosa, e credendola un giocattolo, rimasero uccisi.

Nei giorni quindici e sedici i nemici bruciarano due case a Campodalbero. Mentre gli abitanti erano tutti fuggiti, lasciando abbandonato il paese, i tedeschi e fascisti portarono via biancheria, pecore, mucche, maiali, galline e tutto ciò che trovarono di buono, gettando quella povera gente completamente nel lastrico. Ciò che non poterono portar via con loro, distrussero sul sito.

Gli incendi nelle diverse contrade di Durlo, furono così rapidi, che nonostante il cielo fosse sereno, in breve tempo il sole venne nascosto dalle nuvole di fumo, che sottrasse al nostro sguardo tutta la vallata e i paesi dei due versanti. Le faville vennero portate ovunque tanto che anche i prati dì Marana furono coperti da uno strato di cenere.

Intanto noi Maranesi, provati duramente in luglio, si assisteva con
raccapriccio a queste distruzioni e, dato, che pattuglie nazi-fasciste
passavano anche per la nostra zona, si temeva di dover passare per una

seconda volta sotto la prova del fuoco. Perciò tutti asportarono dalle case rimaste incolumi ciò che vi era. La nostra contrada pareva convertita in una piazza da fiera, tanto che i prati circostanti le case, erano tappezzati di mobilia, suppellettili e masserizie.

E così pure le altre contrade. Purtroppo durante questa esposizione forzata, ci furono di coloro, che noncuranti del momento angoscioso in cui ci trovavamo, ardirono di trafugare a danno del prossimo, ciò che a loro faceva più comodo.

Il giorno quindici, di sera, si fermarono in piazza Marana, nelle aule scolastiche e nel cortile delle scuole un bel numero di tedeschi. Questi si portarono per le contrade Cavalieri e Pasquali appropriandosi. di un gran numero di pollami. Più tardi, qui ai Pasquali, si presentarono in tre e riunirono sull'aia i capi-famiglia. Noi tutti tremevamo, perché si aveva paura che ci volessero uccidere. Ma ci tranquillizzammo quando esposero il loro desiderio di volere una mucca e una vitella. Quest'ultima la trovarono subito nel luogo, ma la mucca proposta loro si trovava sulla malga. Dietro le osservazioni del proprietario della bestia essere troppo tardi recarsi a quell'ora sul monte a prenderla, per il pericolo del coprifuoco, e che gliela avrebbe condotta loro il mattino seguente, i tedeschi risposero con burberità e minacce costringendo il possessore della mucca e una giovane di andare prenderla e condurla loro in piazza.

XXVIII°

11 giorno diciassette. domenica, le squadre annate, finito il rastrellamento, ritornarono da Durlo. Campofontana e Campodalbero, passando per Marana esortando la popolazione di ripone le mobilia, ché non avrebbero più bruciato.

Con questo rastrellamento si sciolse quasi completamente la banda del comandante Vero. Vi rimase soltanto un nucleo di una trentina circa di partigiani , che essendo quasi tutti ostinati e imprudenti, volevano rimanere nelle abitazioni, senza alcun riguardo per gli abitanti. Questi. vedendo che a nulla valsero le loro preghiere perché si tenessero nascosti e a nulla valsero i sacrifici sostenuti per il loro mantenimento, li esortarono di cambiar posizione e così i partigiani si portarono altrove.

Le bestie portate via dai tedeschi, durante il rastrellamento, dopo tante ricerche e preghiere presso il comando tedesco, furono restituite per i due terzi ai proprietari.

Nella notte sette ottobre vi fu una pioggia torrenziale.

In una casa della contrada Rama di Bolca vi risiedeva da pochi giorni il comandante dei partigiani. La mattina, del ventinove, gli fu spalancata all'improvviso la porta e vi si presentò un tedesco sparando dei colpi nei muri della cucina e ritirandosi poi, subito, all'esterno.

Intanto il comandante e i suoi partigiani fuggirono per una porta opposta e trovandosi vicino al bosco, vi s'internarono mettendosi al salvo. La delatrice presso i tedeschi di questa residenza del comandante, fu una ex partigiana «Catia» che espulsa dalla compagnia, perché disonesta e ammalata, si ricompensò col tradimento dell'affronto subito.

XXX°

Il giorno del santo Rosario, festa solenne della Madonna, mentre si stava assistendo alla S.Messa, venne dato un allarme dalle vedette che stavano di guardia fuori dalla chiesa. Indescrivibile il panico di tutti noi e specialmente dei giovani che quella mattina si trovavano in gran numero alla messa per accostarsi ai Santi Sacramenti! Per tema di essere presi, fuggirono dalla chiesa spingendosi quasi a cavalcioni uno sull'altro. Un giovane della classe 1925: Cacciavillani Silvio, che si trovava in quel momento al confessionale, al sentire tutto quel tramestio, capi subito dí cosa si trattasse e lasciato in asso il confessore, fuggi dalla finestra della sagrestia. Ritornò poco dopo a terminare la confessione, quando rientrarono in chiesa anche gli altri.

L'allarme venne dato da una donna di Meceneri, la quale portò la notizia che quella stessa mattina avevano trovato il cadavere di un giovane della classe 1907, di Crespadoro. Questo ragazzo buono e pio, si recò la sera precedente in contrada Bauci per avvertire i ragazzi che c'erano tedeschi in vista. Nel far ritorno alla propria casa, incurante del coprifuoco, venne assassinato dai tedeschi alle ore ventidue, sul fronte dei Bauci.

XXXI°

Verso la metà di ottobre, i tedeschi accortisi o preavvisati da qualche spia, si recarono alla contrada Pasquali di Durlo, catturando due partigiani e uccidendone altri due, che tentarono fuggire.

XXXII°

Ai venti di ottobre i tedeschi obbligarono tutti gli uomini da quattordici ai sessant'anni di presentarsi a S.Bortolo per i lavori di difesa. Dopo la visita, quasi tutti furono fatti abili e costretti, volenti o nolenti, recarsi in quelle montagne sfidando il freddo rigido della stagione, la neve e il continuo pericolo d'essere avvistati dagli apparecchi alleati e mitragliati.

Infatti il due novembre furono sganciate alcune bombe da un apparecchio, vicino a Sprea e vi rimasero tre lavoratori morti e due feriti.

XXIII°

Cosi tra una vicenda e l'altra, si giunse al trenta novembre. In questo giorno si venne a conoscenza che i tedeschi e fascisti avevano presi e portati via il cognato del comandante Vero e la sua suocera, e con loro anche una partigiana chiamata "Bestiolina". Questa giovane svelò ai tedeschi e fascisti tante cose riguardanti i partigiani e insegnò loro anche il luogo dove fu nascosta la motocarrozzella presa dai partigiani ai tedeschi.

XXXIV°

Gli uomini costretti dai tedeschi a lavorare, furono messi a una disciplina tale, che non potevano assentarsi dal lavoro nemmeno un giorno. Soltanto ogni quindicina era concessa loro una domenica libera. L'otto dicembre, festa dell'Immacolata, si trovavano in chiesa soltanto una cinquantina di uomini anziani e cosi tutte le altre feste.

XXXV°

La domenica dieci dicembre, giornata abbastanza serena, si sentivano gli aeroplani alleati girare a destra e a sinistra e il boato lontano dei bombardamenti. Ad un tratto spuntò dall'orizzonte, in direzione di Campofontana un apparecchio, poi, un altro. Il primo, colpito gravemente dalle artiglierie tedesche, fumava e ardeva, mentre gli uomini dell'equipaggio, forniti di paracadute, si gettarono nello spazio e scendevano piano, piano. Mentre i fascisti e tedeschi che si trovavano di presidio a Campofontana si tenevano certi di catturare i paracadutisti, questi furono messi in salvo dai partigiani.

L'apparecchio, in balia a sé stesso decollò vicino la Campanella di Altissimo. Il secondo aeroplano, colpito lo stesso, passò dietro il monte di Marana e cadde presso Fongara.

Il dodici gennaio 1945, durante una notte impervia di vento e neve, i tedeschi e fascisti di Campofontana, s'impossessarono dei due fratelli partigiani Masieri di Durlo e con loro, portarono via tutti gli animali di proprietà della famiglia.

XXXVII°

11 diciotto gennaio, la mattina per tempo, tedeschi e fascisti circondarono la contrada Pozza per impossessarsi dei giovani della contrada e di alcuni partigiani che da qualche tempo vi stavano nascosti. Messi in allarmi e in sospetto di essere svelati dai fratelli Masiero, si diedero alla fuga per non essere presi e si salvarono. Però i giovani della contrada, ricevettero lo stesso giorno, l'imito di presentarsi a Campofontana al lavoro. Ma invece essi il giorno seguente, si portarono ad Arsiero per essere assunti dalla Thodt.

Tedeschi e fascisti, dopo aver perlustrata la contrada, si portarono quassù nella contrada Pasquali, costringendo le famiglie di fornir loro dei generi alimentari. Dopo essersi ben pasciuti e dissetati, ritornarono alla Pozza e vedendo inutili le loro ricerche, si adirarono e percossero le sorelle Angelina e Anna Dalla Pozza.

XXXVIII°

Il giorno ventun gennaio ci giunse notizia, che a Campofontana, essendo ultimati i lavori, i tedeschi e i fascisti, con la scusa di far paga agli operai, li radunarono tutti, li inquadrarono e li mandarono al nuovo lavoro in Glassa e Revolto. Il giorno seguente, ventidue, furono invitati anche gli operai di S.Bortolo per riscuotere la paga, ma molti di questi, messi in allarme dal tradimento del giorno precedente, non si fecero vedere, mentre altri, fiduciosi di non essere traditi, si presentarono e così furono inquadrati e mandati a raggiungere i compagni verso il Campo Brun. Si può bene

Immaginare  il dolore e la mortificazione di questi uomini, partiti da casa loro la mattina, con la speranza di far ritorno la sera, al vedersi inviare ancor più distanti, senza provviste di viveri e indumenti, in mezzo alla neve alta quasi un metro e al freddo rigidissimo!

Essi non furono messi in libertà e neppure dato loro il cambio. Perciò stanchi, esausti di quella vita durissima, pochi alla volta scapparono a casa, sebbene i tedeschi trattenessero due, tre quindicine di ciascuno per impedire la loro fuga. I lavoratori lasciarono loro anche il denaro. Allora i tedeschi mandarono i poliziotti trentini nei diversi comuni, richiamando e richiedendo uomini., ma pochi si ripresentarono.

XXXIX

Il cinque febbraio ci giunse la notizia che a Vestena, in un'osteria si sono trovati tedeschi e fascisti con partigiani. Naturalmente ci fu lotta tra loro e vi furono dei morti da ambo le parti.

Per vendetta, i tedeschi bruciarono l'osteria e una casa vicina.

XXXX

Dalla metà di febbraio ai primi di marzo l'attenzione della gente fu attratta più che ad altro, agli apparecchi, che quasi ogni giorno passavano in formazioni di 150-200 e più. Passavano e ripassavano più volte. Lontano da noi si sentivano le detonazioni e il fragore dei bombardamenti, che ci facevano battere il cuore al pensiero di coloro che si trovavano sotto quel fuoco micidiale. Anche di notte ci ridestavamo frequentemente al rombo dei motori e specialmente dall'apparecchio chiamato "Pippo", che non tralasciò una sera a farci visita e che lasciò cadere qualche bomba anche in queste zone.

XXXXI

La domenica del tre marzo, a Crespadoro, mentre si stava celebrando la S.Messa, Tedeschi e fascisti, scesi da Vestena o da S. Giovanni, circondarono il paese. Quando gli uomini uscirono dalla chiesa, scelsero quelli che facevano al caso loro e li portarono via. Nei giorni seguenti ne presero anche a Chiampo e Arzignano e li inviarono al lavoro. Molti però riuscirono fuggire e ritornare alle loro famiglie.

XXXII

Dal giorno dieci al quattordici marzo, uno squadrone di fascisti vennero nelle nostre contrade, facendo una specie di rastrellamento, ma niente trovarono e niente poterono fare.

In quei giorni avemmo qualche allarme a causa dei tedeschi che si trovavano a Castelvecchio, che passarono per le nostre contrade, in marcia per le loro istruzioni o in cerca di uova, pane, salame per sfamarsi.

 

XXXXIII°

Verso il mattino del venti marzo i fascisti andarono ad Altissimo e nella contrada Fochesati, di certo guidati da qualche spia, presero dei partigiani mentre dormivano su un fienile. Due li uccisero subito e uno se lo portarono con loro, lo martorizzarono e lo costrinsero insegnar loro il nascondiglio di un suo compagno a Nogarole. Condotti sul luogo, non ebbero il coraggio di entrarvi e costrinsero il padre del nascosto a far uscire all'aperto il figliuolo.

Ma tanto il genitore, quanto il giovanetto, uscirono dalla caverna il primo armato di rivoltella e l'altro di bombe a mano e ambe due si scagliarono sui nemici.

Il ragazzetto, terminata la sua munizione, se la diede a gambe, ma raggiunto dalle raffiche di mitraglia rimase ucciso come rimasero pure uccisi il padre e il compagno, che per le percosse, lo aveva tradito.

Così dopo tanti rastrellamenti e rappresaglie, i tedeschi e fascisti si tenevano certi di aver distrutte le bande partigiane, mentre queste, tenute segrete dal popolo, s'ingrossavano sempre più.

XXXXIV

La mattina del diciotto aprile, verso le ore nove, si sentirono la mitraglia e colpi di fucile sul colle di Campofontana, sopra Durlo. Gli uomini di Durlo fuggirono tutti nei boschi per nascondersi. Verso sera si venne a conoscenza che ciò era un trucco fatto dai nazi-fascisti. Due di loro finsero di fuggire e andarono in cerca dei partigiani per mettersi nelle loro file come volevano dar intendere alla gente, ma in realtà per scoprire i rifugi dei patrioti per poi tradirli. Ma non -vi riuscirono.

XXXXV

La domenica del ventidue aprile una squadra di tedeschi, venuti la mattina per tempo da Chiampo, circondarono il paese di Crespadoro e fermarono tutti coloro che uscirono dalla chiesa con la speranza di poter acciuffare qualche giovane.

Ma i ragazzi, sebbene colti di sorpresa, riuscirono fuggire.

Dopo mezzogiorno salirono quassù a Marana e per primo luogo giunsero alla contrada Pasquali. Fecero uscire da l'osteria della Campana gli uomini, che vi stavano bevendo e li condussero in piazza. Accortisi che parecchi giovanotti erano fuggiti, una squadra di loro andò verso la contrada Castagna, raggiunsero un giovanotto di Volpiana, credendolo di Marana e lo condussero pure in piazza. Interrogarono gli uomini e accertatisi della loro entità li lasciarono liberi ed essi presero la via per Crespadoro.

 

XXXXVI

Il giorno venticinque aprile, al contrario del solito, i tedeschi e fascisti fuggirono dalle caserme e dagli uffici e si ritirarono sui monti, cercando di avvicinarsi sempre più alle proprie famiglie. I partigiani nascosti lungo le strade, li attendevano per disarmarli e concentrarli in luoghi ben sicuri. E ciò per attendere l'arrivo degli alleati, i cui rombi di cannoni arrivavano distintamente fino a noi. Nelle azioni di questi giorni e partigiani furono diretti dal comandante Tigre, che diede sempre prova di grande coraggio e prudenza. Lo stesso giorno del venticinque una squadra di otto tedeschi armati, fu[...] per la Brassavalda, equipaggiati di biciclette e diretta a Valdagno.

XXXXVII°

La notte del ventisei aprile i partigiani passarono per le nostre strade portandosi verso i centri e i crocicchi delle vie per disarmare i tedeschi, ritornando il giorno dopo coi prigionieri e condurli al campo di concentramento in Campodalbero.

XXXXVIII°

Nel giorno piovigginoso del ventisette, tre tedeschi armati si trovarono alla
contrada Castagna, diretti verso il monte. Giunti alla località Siesa, quattro

nostri giovanotti diedero loro l'alt e spararono un colpo in aria. Un tedesco si fermò, ma vedendo i due compagni fuggire li seguì. Ma fecero i conti senza l'oste. I patrioti spararono loro dietro diversi colpi costringendoli ferti~ e nel pascolo dei Boschi li disarmarono. Uno dei tre fuggitivi., dmmite la corsa si estorse un piede sicché gli altri due dovettero portarlo Ero al ,Caorpodalbero.

Nello stesso giorno giorno alle ore dieci antimeridiane, una grande squadra ditedeschi con cavalli e carrette, bene armati, vennero da Crespadoro e piazza Marana si fermarono. Il loro comandante si mise parlare al Parroco. domandandogli tante cose e chiedendogli del pane. Il reverendo rispose che avrebbe dato del pane soltanto a coloro che avessero deposte le armi. L'ufficiale tedesco gli disse di aver ricevuto ordine dal suo comando di non cedere a nessuno le armi e di non importunare i partigiani, purché li lasciassero passare armati. Poi con la rivoltella in pugno entrò in canonica, in cucina di una sinistrato e afferrata una cesta di pane se la portò via, Tutta la colonna si mosse alla volta di Valdagno. Alla Brassavalda incontrarono un giovane della classe 1923 Bauce Igino, e lo percossero. Giunti tra Bertoldi e Col del Zovo incontrarono i partigiani, che sebbene in pochi e poco armati, spararono dei colpi in aria, intimando loro di alzar le mani e abbassare le armi. I tedeschi s'intimorirono e spararono solo una raffica di mitraglia ferendo al petto un altro giovane, Dalla Pozza Luigi, che ritornava a casa da Arsiero e che ivi si trovava per caso. Con questo colpo i partigiani vennero in possesso di diverse armi ed equipaggiamento e così poterono far fronte con più coraggio alle altre squadre, che sarebbero giunte.

Lo stesso giorno, verso le ore quindici altri tedeschi passarono per Marana, ma sentendo che non potevano percorrere la strada che li avrebbe condotti a Valdagno, perché tenuta a vista dai partigiani, si avviarono per il monte. I patrioti che li attendevano verso la Brassavalda, accortisi che erano fuggiti, li inseguirono e a fucilate e a raffiche di armi automatiche, li sbandarono e fecero loro abbandonare le armi, che in seguito furono raccolte dai partigiani. Alle ore diciassette un'altra squadra di circa una quarantina di tedeschi passarono per Marana. Giunti alla strada Croce, che porta alla contrada Ortomanni venne loro dato dai partigiani l'alt e l'intimazione di alzare le mani e abbassare le armi. Le grida dei partigiani e la loro fucileria, furono così assordanti, che fecero rimbombare le valli circostanti.

Chi non fu presente, non può immaginare il lato serio e comico lo stesso tempo, della scena. Dei partigiani rimasero fermi al loro posto, altri perquisirono i tedeschi a uno a uno. Cessato il pericolo fu un accorrere da ogni parte di popolo, uomini, donne e anche bambini, che volevano prestar man forte ai partigiani.

Intanto giunse da Altissimo un'altra squadra di disarmati e tutti assieme furono condotti a Campodalbero.

Pure la stessa sera, alle ore ventidue, altri diciotto tedeschi, con due cavalli e una carretta carica, passando per la contrada Cavaliere, furono fermati e disarmati dagli uomini della contrada e da due partigiani. Furono poi perquisiti nella contrada Pasquali e in seguito condotti a Campodalbero.

La mattina del vent'otto una gran colonna di tedeschi con carri armati si trovavano di passaggio in Altissimo, mentre un'altra di novanta uomini si trovava a Durlo, diretti a passare per Crespadoro.

I partigiani ebbero l'ordine di non attaccare quelli provenienti da Durlo, per tema che quelli di Altissimo accorressero in loro aiuto e facessero rappresaglia. Ma quest'ultimi si avviarono alla volta di Valdagno e furono disarmati. Intanto giunsero a Crespadoro quelli di Durio e furono assaliti dai partigiani, che furono pochissimi, col comandante Tigre, e intimato loro di arrendersi e cedere le armi. Ma i tedeschi non vollero assoggettarsi e ritirati nelle case, sparavano dalle finestre. Nel frattempo, da Valdagno, veniva in rinforzo ai partigiani un'autoblinda, ma arrivata a Cocco, si fermò vedendo finita la lotta, che durò per ben tre ore con la finale vittoria del comandante Tigre coi suoi partigiani.

Le perdite subite dalla S.S. furono di due morti, quattro feriti e un cavallo ucciso, mentre i partigiani rimasero tutti illesi.

Verso sera ci giunse la notizia da Valdagno, liberata giorni prima dai partigiani, che questi avevano presi e messi in prigione parecchi fascisti, fra i quali anche la famosa Catia, ex partigiana, che passata nei repubblicani, tradì molti suoi compagni partigiani e fece mettere in prigione diverse persone, che ai partigiani avevano prestato aiuto. Messa in una gabbia di ferro fu portata per le vie di Valdagno, esposta al pubblico come una bestia rara.

La stessa sera, verso le ore vent'una, passarono per Marana, diretti a Valdagno i prigionieri concentrati a Campodalbero. Erano più di quattrocento uomini, mentre molti altri erano già stati consegnati pure a Valdagno.

L

Il giormo ventinove aprile ci giunse notizia della cattura del famoso fascista Castegnaro. Questi era fuggito da Valdagno e si era rifugiato nella sua casa bruciata ai Zovo, ove venne acciuffato da quattro suoi paesani, fra i quali anche un nipote.

Caricato su un carro trainato da un cavallo e legato con una fune, fu condotto a Castelvecchio, dove dovette ricevere gli sputi e le imprecazioni dei suoi paesani. Fu trasportato poi a Valdagno sempre in piedi sul carro. Gli fu messo il morso e le redini come a un cavallo e lo fecero girare a destra e a sinistra, secondo la volontà del popolo.

Durante la giornata ci giunse per radio la notizia, che non dispiacque al popolo, della fucilazione di Mussolini.

LI°

Il giorno primo maggio macchine di alleati passavano per Castelvecchio e Valdagno.

La sera dello stesso giorno, alle ore ventidue, mentre noi tutti della contrada eravamo coricati, fummo svegliati da un trombettio di macchina. Convinti che fossero americani o inglesi, balzammo tutti dal letto e rimanemmo stupiti e lieti al vedere invece giungere in automobile, il nostro fervido patriota "Penna" che diede prova di tanto coraggio e sangue freddo nei diversi scontri coi tedeschi, disarmandoli da solo, anche se in grosso numero. A "Penna" come a tutti i nostri partigiani, la nostra ammirazione.

LII°

Così ebbe fine quest'epoca dolorosa, piena di avvenimenti straordinari nelle città e paesi. Tutti in movimento e confusione, ma concordi e uniti con lo spirito di abbattere i nazi-fascisti, per riprendere poi la libertà e godere la pace tanto agognata.