La mia esperienza mi dice che quando esiste un movente e una opportunità una cosa possibile succede. Cosa Nostra era una organizzazione di cui si negava l’esistenza finchè Joe Valaci prima e Tommaso Buscetta dopo non ne verbalizzarono l’esistenza. Ma Falcone non ebbe mai dubbi che esistesse e che fosse proprio come poi la descrisse Buscetta.
Il periodo della resistenza armata in Italia è stato correttamente inquadrato come scontro ideologico e politico, ma se si cominciasse a considerare l’organizzazione del fascisti come una organizzazione mafiosa alcune ombre scomparirebbero e molti tasselli del mosaico andrebbero al loro posto.
Le ferocissime torture a cui vennero sottoposti partigiani e staffette catturate erano solo odio politico? Che senso aveva, oltre alla vendetta, torturare quelle persone in una prospettiva (parlo dell’inverno 44-45) che vedeva i nazifascisti certamente sconfitti? Ma se mettiamo l’ipotesi che i fascisti volessero mettere le mani su parte dei 18 milioni prelevati dal Ministero della Marina di Montecchio le cose assumono un senso. Con anche un solo milione queste belve potevano garantirsi una sicura fuga in Svizzera, documenti falsi e un tranquillo dopoguerra.
Ma c’era ben di più.
Dal Luglio 44 menti raffinatissime si misero all’opera per crearsi un futuro nel dopoguerra.
Abbiamo testimonianze di gente comune che alcuni dei tedeschi che bruciarono San Pietro Mussolino parlavano dialetto veneto. Analoghe testimonianze sui rastrellatori di Monteforte che avanzavano sui vigneti di Fittà con la maschera antigas.
“Con la maschera antigas?” chiesi a chi me lo raccontava. “Si perché non erano tedeschi, ma i fascisti di Colognola ai Colli”. Nessuno venne mai individuato.
Ora immaginate qualche alto funzionario dell’ex polizia segreta fascista che raccoglie fasciti di secondo piano, li fa partecipare a una strage e tiene per se, segrete le loro identità. Questa/e persona/e hanno creato un legame mafioso con gli esecutori; un sistema esattamente analogo a quello della mafia o di altre strutture criminali dove fanno fare agli aderenti il passo dell’omicidio di iniziazione.
Poi si scopre che certa gente, insospettabile, faceva parte di Gladio.
E, a mio avviso, il sistema di compromettere e ricattare è andato avanti almeno fino alla macelleria messicana della Diaz.
Ma le raffinatissime menti hanno agito anche in un’altra direzione: sporcare la resistenza, sporcare i singoli partigiani.
Il sistema era relativamente semplice: preso un partigiano si faceva circolare la voce che era stato preso per delazione di X; le formazioni giustiziavano X e a quel punto le raffinatissime menti rivelavano che era stato Y o un altro partigiano (Z) che aveva parlato sotto tortura. Il danno era fatto: la formazione che aveva giustiziato X passava per assassina e Z (che non aveva parlato, ma che veniva messo in libertà) diventava la nuova vittima designata.
Per fermare queste catene Barbato, comandante delle maggiori formazioni del Piemonte, costituì un ufficio controspionaggio e proibì ogni esecuzione che non fosse stata verificata da tale ufficio affidato a un ufficiale di carriera (Raimondo Luraghi) che nel libro Eravamo partigiani spiegò questa cosa. Nel giro di un paio di settimane il tentativo di sporcare la resistenza piemontese fallì, ma andò avanti molto in Emilia-Romagna.
C’era poi la lusinga, diretta proprio verso gli antifascisti
“Ma siete contenti che vinca il Tar? Comunista, ladro e assassino? Magari se vince lui voi siete i secondi, dopo di noi, che farà fuori. Non sarebbe meglio che ci aiutaste a farlo fuori, poi chiunque vinca possiamo metterci d’accordo” E qualcuno ci cascò come il CLN di Malo che avvisò i fascisti della presenza di Lionzo Bedin a Priabona, delazione che portò alla morte del Bedin.
Nella pur grave disgrazia data dal passaggio della Katia ai fascisti questo evitò la manovra di sporcare la resistenza della Stella: si sapeva che la spia era la Katia e tutti gli altri erano puliti
Sotto un link che parla di alcune di queste organizzazioni
http://www.aldogiannuli.it/le-spie-di-salo/