Per i rastrellamenti i nazifascisti non potevano sempre realizzare la sorpresa. In genere dovevano ordinare il pane ai fornai delle valli, poi mettere in allarme le truppe di presidio. Insomma del rastrellamento si veniva a sapere il giorno prima o qualche ora prima. Piero Benetti (Pompeo) di Recoaro il 15 febbraio camminando nella neve andò ad avvertire il gruppo di Malga Campetto che il giorno dopo sarebbe scattato un rastrellamento. Pompeo non aveva il quadro complessivo, ma era sicuro della puntata da Recoaro. Si trattò di un rastrellamento anche ben organizzato perchè i nazifascisti intendevano attaccare da Fongara e sbarrare la fuga salendo da Campodalbero. L'assalto dalla piana dello Sptitz (da Fongara) poteva avvenire sostanzialmente solo attraverso il sentiero che portava a Malga Campetto attraverso Montefalcone. Tuttavia una volta raggiunto Montefalcone (la punta della freccia) gli attaccanti potevano allargarsi nei boschi.
Più problematica era la situazione verso Campodalbero perchè da questo saliva una strada della prima guerra mondiale che avrebbe permesso si nazifascisti di tagliare la ritirata sullo spartiacque agli uomini di Malga Campetto.
Malga Campetto è rappresentata dal cerchio, la strada da Campodalbero è il tracciato in giallo. La valle verso Campodalbero è tutta cenge alte anche 40 metri, senza sentieri.
Al gruppo era appena arrivato un ufficiale dell'esercito che secondo il Comando Regionale doveva assumere il comando del gruppo, ma Libero Lossanti ("Mils") declinò l'incarico non conoscendo ne' il terreno, ne' gli uomini.
" Giani" -Raimondo Zanella- diede allora l'organizzazione e gli ordini precisi. Divise i 26 uomini in 5 pattuglie.
La battaglia durò tutto il giorno; dalla parte di Montefalcone l situazione fu sempre favorevole ai partigiani, si ebbe un momento di crisi relativamente alla seconda pattuglia, la criticità venne però risolta da "Pino" che messi al sicuro gli uomini disarmati era tornato, con gli altri armati, sui suoi passi e aveva attaccato alle spalle il nemico.
La scarsità di munizioni non permetteva uno scontro prolungato così nel pomeriggio, dopo aver inflitto considerevoli perdite al nemico gli uomini della banda riuscirono ad esfiltrare, senza perdite, o dirigendosi verso Malga Frasselle o lasciandosi cadere nei canaloni pieni di neve. Per questa soluzione metteveno il fucile in mezzo alle gambe e giù in caduta libera.
"Carlo", in questa disperata discesa, perse le scarpe ed ebbe i piedi congelati. Fu salvato dal precipitare in un dirupo da un compagno che lo afferrò al volo.
"Gian" non solo aveva correttamente indirizzato e diretto la formazione per tutta la battaglia, ma aveva scelto il momento più opportuno per sganciarsi e disperdersi; oltre a ciò aveva dato un luogo di raduno (fonte Abelina a Recoaro) dopo due giorni.
I nazifascisti, rimasti con un pugno di mosche, distrussero l'abitabilità di Malga Campetto; in altri termini distrussero la fontana, bruciarono la legna e ruppero i vetri. "Giani" constatata l'inagibilità di Malga Campetto trasferì il punto di riferimento a Bosco di Marana e avviò, anche per direttive superiori, una strategia di attacco consistente nella formazione di pattuglie mobili di 6-8 persone che percorrevano paesi e contrade facendo propaganda con l'azione. Da quel momento quindi la formazione non fu più un gruppo che attendeva il nemico, ma una banda che il nemico andava a cercarlo e lo affrontava armi in pugno.
Non sono certe le perdite del nemico; "Pompeo" si recò a S.Quirico nella strettoia obbligata che scendeva da Fongara e constatò il passaggio di camion con morti e feriti.
La battaglia ebbe importanti conseguenze su entrambi i combattenti: dopo le prime sanguinose catture e fucilazioni di disertori ora gli antifascisti sapevano di avere sui monti una formazione formidabile e i nazifascisti (che avevano impegnato nell'attacco 400 uomini e armi pesanti) di resero conto che sui monti non vi erano bande di rubagalline, ma formazioni armate e ben comandate.