Il 31 luglio, in contrada Facchini di Recoaro una ventina di tedeschi tesero un'imboscata ad una pattuglia di 12 partigiani, molti dei quali disarmati. Uno solo di loro ebbe il tempo di reagire e di sparare, causando due feriti tra i tedeschi. Cercarono tutti di sganciarsi e di fuggire ma quattro di loro non ci riuscirono e furono catturati. Erano: Enrico Capannari di Vicenza, figlio di Oddo, salito in montagna da appena 4 giorni; il valdagnese Emilio Cappelletti "Wallace"; Francesco e Gaetano D'Ambros, rispettivamente figlio e fratello di Giuseppe D'Ambros "Marco", costruttore delle formazioni garibaldine nell'alto vicentino e intendente del battaglione Stella. I quattro prigionieri furono rinchiusi nella caserma dei carabinieri di Recoaro.
"Dante", Luigi Pierobon, comandante del battaglione Stella, chiamò subito a raccolta i migliori partigiani che erano in zona e con essi predispose un piano per assaltare la caserma e liberare i prigionieri prima che essi fossero trasferiti altrove. Le modalità d’intervento furono concordate nella contrada Parente. I partigiani erano anche a conoscenza della parola d’ordine, fornita loro da collaboratori. Nel buio (era la notte tra l'1 e il 2 agosto 1944) si trasferirono verso il centro del paese ove era collocata la caserma e vi arrivarono senza difficoltà, anche se lungo il percorso varie volte i cani si erano messi ad abbaiare.
Mentre i partigiani prendevano posizione, come previsto dal piano di attacco, "Armonica" , Benvenuto Volpato , con alcuni compagni si presentò alla porta, pronunciando la parola d'ordine e chiedendo di entrare. La porta venne aperta e subito "Armonica" intimò: “Mani in alto!”. Ma all’improvviso, dall’interno del corridoio partì una raffica di proiettili che passarono sopra le loro teste, sparati in alto per non colpire il piantone che si trovava nel mezzo. Costui allora rinchiuse frettolosamente la porta e l’azione fallì. Ripiegarono tutti in fretta, mentre altri carabinieri sparavano dalle finestre. Faustino Frizzo "Ruis", forse nella foga dello sganciamento, imboccò una stradina che lo pose allo scoperto e fu colpito alla testa. Il suo corpo rimase lì per molto tempo poiché nessuno aveva il coraggio di portarlo via per paura di essere arrestato. Si fecero avanti uno zio e dei parenti di Brogliano che lo prelevarono e lo seppellirono in tutta fretta. I quattro prigionieri furono in seguito deportati in Germania.
Quando "Dante", già sconsolato per il fallimento dell'azione, venne a sapere della morte del compagno, prese carta e penna e scrisse ad Alfredo Rigodanzo "Ermenegildo - Catone" , comandante del distaccamento di Selva di Trissino, esprimendo tutto il suo dolore per la morte di Ruis, «un nostro migliore amico, uno dei primi in tutto e dei più anziani». Parlò anche dello sconforto di "Marco" che era «in condizioni spirituali impossibili» per la cattura del figlio e del fratello. Finché le cose vanno bene, scriveva, c'è entusiasmo, ma quando succede qualcosa come si devono comportare i partigiani nei riguardi delle famiglie colpite? «Che mezzi abbiamo? Trovo moralmente inconcepibile fare il danno di tante famiglie e poi non poterle aiutare. Ed a fine guerra chi meriterà qualche cosa? Certo i responsabili, non chi ha combattuto e chi ha aiutato. Credo che il comando non sappia neppure con precisione quanti sono i nostri caduti. Non vedo nessuno che s'interessi delle loro famiglie. Poveri ed eroici giovani che tutto hanno dato, che tutto hanno sacrificato! - e conclude - Scusa la noiosa e malinconica chiacchierata. Forse perché sono scarso d'ideali. Nella mia vita ho due soli ideali: l'amore ed il bello. Saluti cari»
Foto : Lugi Pierobon "Dante" e Faustino Frizzo "Ruis"
Fonti: GIANCARLO ZORZANELLO - Brigata "Stella" . Archivio storico - 1° Volume, 1980 pag. 168-169. Testimonianza di "Pompeo" Pietro Benetti in "Testimonianze di partigiani recoaresi" - Videocassetta, a cura dell'ANPI di Recoaro Terme, 2002