Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

 

Riportiamo un testo di Giorgio Fin riferito alla strage di Selva
Due giorni prima, il 24 marzo 1945, i fascisti della brigata nera di Valdagno circondavano la contrada Fochesati di Altissimo, fecero uscire la popolazione e perquisiscono tutte le case. Vennero così sorpresi 4 partigiani, alcuni nascosti in un fienile.
Uno di loro, Castagna Giuseppe "Rosetta", originario di Recoaro, reagì, ma venne subito ucciso e abbandonato ai piedi  di un albero. Gli altri tre furono portati a Valdagno per gli interrogatori: sono Antonio Pana “Libero” di Arzignano, Vito Pagano “Pepe” di Agrigento, e “Dardo”, un altro siciliano di cui non conosciamo il nome.
Non dobbiamo meravigliarci se qualcuno di loro, sottoposto a maltrattamenti e torture, non sia stato capace di resistere e abbia rivelato ai fascisti informazioni preziose. Sta di fatto che, due giorni dopo, lunedì 26 marzo 1945, 35 brigatisti neri, guidati da Emilio Tomasi, alle 7 di mattina piombarono a Selva di Trissino trascinando dietro i tre prigionieri.
Subito si diressero verso le macerie dell’albergo Belvedere che i fascisti stessi avevano distrutto e incendiato per ben due volte. L’albergo era di proprietà dei Rigodanzo, la famiglia di “Catone”, il commissario della brigata "Stella". Tra quelle rovine era stato ricavato una tana in cui si rifugiava il partigiano “Claudio”, Peghin Pietro, il fratello di Teresina “Wally”, braccio destro di "Catone".
Aveva una pistola con tre colpi e e una bomba a mano. Uno dei fascisti riuscì ad avvicinarsi con l’aiuto di una pila. “Claudio” sparò in direzione della luce e lo ferì alla mano. Allora, individuato il nascondiglio, i brigatisti gli lanciarono contro varie bombe a mano che lo ferirono, per fortuna leggermente, in varie parti del corpo. Si difese come poté, ma non cedette.
Per stanarlo andarono a prendere il padre Ettore Peghin di 56 anni, che abitava lì vicino, minacciandolo di morte. A quel punto “Claudio” uscì dal suo rifugio e, come gli era stato intimato, consegnò al padre la pistola, ormai scarica, rifiutandosi però di dargli anche la bomba perché ne aveva tolta la sicura e temeva che nel passaggio scoppiasse.
Di fronte aveva i brigatisti schierati con le armi spianate. Perso per perso, rotolò la bomba davanti a sé correndole incontro. Lo scoppio incredibilmente lo risparmiò, ma ebbe l’effetto di sorprendere e disorientare i fascisti, così che “Claudio” riuscì ad uscire dall’accerchiamento e a fuggire lungo la valle dell'Arpega. Pur inseguito dalle raffiche di mitra, ebbe la fortuna di essere colpito solo all’anulare della mano sinistra. Tralascio i particolari della sua fuga, dell’inseguimento e della rabbia fascista. Tutti gli abitanti di Selva furono minacciati, persino il parroco, specialmente i famigliari di “Claudio”.
I fascisti erano venuti quassù in 35 per catturarne uno e hanno fallito. Così alla fine la loro vendetta fu terribile. Prima di andarsene, al posto del figlio uccisero il padre Ettore e poi scendendo verso Quargnenta, arrivati alla cabina lettrica, fucilarono anche i tre partigiani che si erano portati appresso.
Mancava solo un mese alla Liberazione, la guerra era perduta e lo sapevano anche i fascisti. Nel Vicentino, come in tutta l'Alta Italia, molti di loro avevano cominciato a defilarsi svestendo la camicia nera, alcuni erano in trattative per sopravvivere alla sconfitta, altri aiutavano persino i partigiani per procurarsi qualche merito da far valere nel momento cruciale della resa dei conti. I brigatisti della Valle dell'Agno invece insistevano nel loro dissennato fanatismo e proseguivano la caccia al partigiano, se possibile con aumentata crudeltà, aiutati dalle spie che avevano sguinzagliato ovunque. La brigata nera "Turcato" guidata da Emilio Tomasi, fu una delle formazioni fasciste in assoluto più crudeli e disumane nei confronti dei partigiani e delle partigiane e spesso anche della popolazione civile, giungendo a punte di sadismo orrende.

Un mese prima, il 20 febbraio 1945, avevano barbaramente seviziato e ucciso cinque giovani partigiani a Quargnenta, in contrada Grilli, a 2 km dalla Selva. Il 24 marzo ai Fochesati e il 26 a Selva: altri cinque morti. Come mai tanta violenza? e non solo contro i partigiani, ma anche contro i civili? E’ difficile rispondere a tale domanda. Più che un problema storico potrebbe essere un problema psicologico o psichiatrico oltre che sociologico. Io penso che questo loro eccesso di ferocia, questo bisogno di ferire, di oltraggiare, di seviziare siano dovuti alla rabbia e alla delusione per l’imminente fine del loro potere. E’ una specie di rivalsa, il volere cioè fargliela pagare a questi traditori, a questi che ritenevano la causa della loro rovina, della fine del loro sogno di uno stato fascista in cui loro erano rispettati, temuti. Ma di tanta crudeltà ci sono spiegazioni anche dal punto di vista storico. In primo luogo perché quella che stavano combattendo le camice nere era una guerra fra appartenenti alla stessa patria, una guerra civile insomma: una guerra senza quartiere, in cui le figure del quotidiano – i familiari, i vicini, i colleghi, le persone incrociate ogni giorno – si trasformano in sospetti, in ipotetici nemici; una guerra senza esclusioni in cui nessuno è neutrale: o sei con me o contro di me; una guerra che non può risolversi con un armistizio, ma solo con l’eliminazione dell’avversario.

In secondo luogo perché la violenza è nella natura, nel DNA, del fascismo. Mussolini, che per inciso proprio 100 anni fa come ieri, il 23 marzo 1919, fondava a Milano i fasci di combattimento, ebbe a dire in uno dei suoi discorsi: «la violenza non è per noi un sistema e nemmeno uno sport; è una dura necessità». E lo ha dimostrato da subito con lo squadrismo, che ha lasciato sul terreno migliaia di persone tra morti e feriti. Lo ha confermato poi con la dittatura eliminando in vari modi gli avversari: Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci, don Minzoni, parroco di Argenta, per non parlare di quelli che con il tribunale speciale ha mandato in carcere o al confino (qualcuno ha parlato di vacanza, ma sono stati 177 quelli che vi hanno trovato la morte). I vicentini assegnati al confino dal ’28 al ’43 sono stati 120. Il fascismo ha poi perseguitato gli ebrei, non solo, ma tutti quelli che erano diversi o la pensavano diversamente; ha soppresso tutte le libertà, ha obbligato tutti ad essere fascisti se volevi lavorare, andare a scuola, essere curato, vivere. Ha governato opprimendo l’Italia e gli italiani e praticando una politica di aggressione contro altri popoli con una guerra dopo l’altra: nel 1930-31 contro la Libia; nel 1935-36 contro l’Etiopia e l’Abissinia usando contro i negri i gas che sterminavano anche vecchi, bambini e donne; nel 1936-1939 ha dato man forte al dittatore Franco nella guerra civile contro i repubblicani, nel 1939 ha occupato l’Albania e nella 2° guerra Mondiale ha invaso la Francia, la Slovenia, la Croazia, il Montenegro, la Grecia e persino la Russia, commettendo indicibili crimini di guerra.

Questo è stato il fascismo. Violenza e sopraffazione e guerra.

Ettore Peghin, Piero Pegin, Teresa Peghin (foto attuale)

 

Così onoreremo degnamente Ettore Peghin, il papà di Teresina, i partigiani “Rosetta”, “Libero”, “Pepe” e “Dardo” che furono qui trucidati 74 anni fa e gli altri caduti di Selva per la libertà.

(*) Pietro Peghin, fratello della staffetta Wally , si lanciò lungo la valle dell'Arpega mentre i fascisti gli sparavano dietro. Nel Chronicon il parroco di Selva di Trissino riportò che nei vestiti di Claudio erno stati riscontrati 43 fori di proiettile.
Nella fuga Claudio incontrò una vecchia che lo fece adagiare in un abbeveratoio e lo coprì con una fascina. I fascisti sopraggiunti misero al muro tutta la famiglia minacciando di fucilarli se non avessero rivelato dov'era il fuggiasco. Si dice che un ragazzino di 10 anni sfidò il Tomasi gridandogli "Cercatelo da solo e se lo trovi ammazzaci tutti".
Il terrore era grande, ma la strage dei grilli avvenuta un mese prima aveva fatto montare verso i fascisti un odio che superava la paura.