Da figure della resistenza vicentina di Mario Faggion e Ghirardini
Nato il 13 maggio 1913 a Cadoneghe, Comune con un territorio di 12,8 chilometri quadrati a nord di Padova, Romeo era l’ultimo di sei figli di Zanella Giuseppe e di Galante Artemisia. Il padre esercitava il mestiere di scalpellino alle dipendenze della bottega di “Francesco Marotto marmi” che aveva, a cavallo degli anni Venti, il laboratorio a Padova in via Garibaldi 19 (l’attuale via S. Fermo). La madre era casalinga: da ragazza aveva lavorato “Ae strasse” (alla fabbrica di stracci “Benoni”) con sede in zona Savonarola e poi a Vigodarzere (Padova).
Giuseppe Zanella era iscritto al sindacato e, alla domenica pomeriggio, facendo una decina di chilometri a piedi, andava alla Camera del Lavoro di Padova per informarsi, per aggiornarsi delle lotte e dei diritti dei lavoratori, superando le diffidenze e le perplessità dei suoi stessi parenti. “Bepi” sapeva a malapena leggere, mentre i fratelli, come la stragrande maggioranza dei cittadini di Cadoneghe nati nell’Ottocento, erano analfabeti.
Soltanto la mamma di Romeo aveva imparato un po’ a leggere e scrivere. “I Mùeo” (così venivano chiamati gli Zanella in paese e dagli amici), pur essendo estranei al “Mondo della Cultura” erano, per tanta gente, un punto di riferimento per la loro saggezza e per la loro onestà. Romeo aveva ancora da compiere sette anni quando, nel febbraio del 1920, dopo breve malattia, moriva il padre. La signora Artemisia restava sola con i figli in giovane età da sfamare. Malvina di 15 anni, Urbano di 14, Marcella di 13, Elena di 11, Tosca di 10 e Romeo appunto di 7 anni. Troppo piccoli per poter capire le difficoltà che dovevano affrontare nel loro cammino esistenziale. Il medico comunale Dott. Briani, molto sensibile e vicino ai problemi della povera gente, conoscendo la precaria situazione familiare della vedova, promuoveva in paese, con la collaborazione di “Giustin Pinton” (Pinton Agostino) e di altri volenterosi, una raccolta di aiuti per far fronte alle più immediate necessità degli orfani. Riuscivano a raccogliere quattro quintali di “panoce de formenton” (pannocchie di granoturco) e sessanta “franchi” (lire). L’abitazione degli Zanella era piccola, di pochi metri quadrati e non c’era posto per mettere il granoturco. La soluzione allora veniva trovata mettendolo alla rinfusa sotto i letti. Il Comune di Cadoneghe, da parte sua, provvedeva a fornire alla sfortunata famiglia per un anno, un litro di latte al giorno e un chilogrammo di sale al mese.
Il titolare della Ditta “Marotto Marmi“, il 24 dicembre 1920 mandava alla signora Zanella un biglietto e “queste cento lire perché lei e suoi figli faccia le feste natalizie augurandole ogni bene per l’anno nuovo“.
Romeo aveva otto anni quando, aspirante di Azione Cattolica, frequentava con serietà e con assiduità la parrocchia. Terminata la quinta elementare iniziava a lavorare come “garzone meccanico” alla Officina “Oblack“ a pochi passi dalla sua abitazione. Apprendeva rapidamente e lavorava con impegno, preoccupandosi di portare a casa ogni fine settimana alla mamma tutti i pochi soldi che riceveva. A quattordici anni faceva amicizia con ragazzi di qualche anno più anziani di lui, incominciando cosi a parlare di “antifascismo e di giustizia sociale”. Nel 1928 aderiva con altri coetanei alla Federazione Giovanile Comunista “sezione della Terza Internazionale“, clandestina.
Il 14 luglio 1932 veniva arrestato per la prima volta, assieme ad altri antifascisti: Bertocco Sebastiano, Bordin Angelo, Ferraresso Virgilio, Giuseppe Giacomello, Attilio Pasquato, Pietro Veronese, Silvino Zarantonello e Anselmo ed Erminio Benetti, Ceccato Giovanni, Parpaiola Gino (e anche Parpaiola Umberto) di Cadoneghe, per “propaganda sovversiva e per organizzazione del partito comunista nel padovano”. In Questura a Padova, Romeo veniva “interrogato, picchiato, maltrattato, deriso“ e sottoposto al “regolamento del pancaccio“ (pane, acqua e tavolaccio). Dopo venti giorni passati in Questura, si aprivano per lui e per altri suoi compagni, le porte del carcere “con molto sollievo”; perché finivano gli interrogatori e le sevizie praticate, dal commissario della polizia politica Barillà e dai suoi questurini, anche durante la notte.
Usciva dal carcere dopo quattro mesi e riprendeva a lavorare. Nel 1935 veniva richiamato alle armi e mandato, soldato in fanteria, in Africa Orientale. In quel periodo molto difficile per l’antifascismo e per il popolo italiano. venivano arrestati il fratello Urbano e il cugino Zanella Raimondo e condannati il 17 aprile 1936 dal Tribunale Speciale con altri otto antifascisti di Padova e cinque di Cadoneghe, a dure pene detentive per “propaganda antifascista contro la guerra d’Africa“.
Dopo il suo ritorno dall’Africa Romeo veniva incarcerato, ancora una volta, il 6 agosto 1938 e liberato venti giorni più tardi. Nuovamente arrestato, sempre per “attività sovversiva“, il 14 settembre dello stesso anno e rilasciato dopo dodici giorni. Ritornato in libertà riprendeva il suo lavoro di operaio meccanico presso l’officina “Anselmi“ di Padova. Lui aveva una grande passione per la meccanica. Era bravo, molto stimato ed apprezzato per le sue capacità, tanto da diventare verso la fine degli anni Trenta caporeparto. È in tale veste che nel gennaio 1940 veniva assunto dalla “Breda” di Cadoneghe. La “Officina Meccanica Ing. Giovanni Breda” costruttrice di torni paralleli (poi anche di trapani radiali), era sorta nel 1939 dall’ampliamento e dall’ammodernamento della fatiscente “Oblack”.
Romeo Zanella, con lo studio serale del disegno meccanico e con tanta forza di volontà, riusciva quasi subito a progettare ed a realizzare delle “maschere“ (apparecchiature), per la lavorazione e la foratura delle componenti delle macchine utensili, tanto da guadagnarsi la stima e l’incoraggiamento del Commendator Bertoni, principale responsabile e padrone, con i soci Cotti e Griggio, dello stabilimento.
Il 28 luglio 1943 la polizia faceva irruzione in casa degli Zanella per arrestare la sorella Tosca, colpevole di aver manifestato per la caduta di Mussolini; non trovandola, prelevava i fratelli Urbano e Romeo. Venivano liberati dopo cinque giorni e dopo l‘incarcerazione della sorella, la quale rimaneva segregata fino al 3 ottobre.
La sera del 9 settembre 1943, Romeo e il cugino Raimondo Zanella (che era appena tornato dal confino), andavano a raggiungere gli alpini e i partigiani del “Battaglione Garibaldi” che a Canebola e a Faedis nel Friuli Orientale, ai confini con la Jugoslavia, stavano già combattendo contro i fascisti e gli occupanti tedeschi. Rientravano a Padova nel dicembre e ai primi di gennaio 1944, si portavano nella zona sopra Recoaro Terme ad organizzare il primo nucleo di giovani provenienti dalla “Val Leogra“, dal Vicentino e dal Padovano. “Giani“ (Raimondo) ne assumeva il comando, mentre “Germano” (Romeo) aveva il compito di far affluire in montagna i giovani renitenti e chiunque aveva il desiderio di combattere contro i fascisti e i tedeschi, seguendo “canali sicuri“ onde evitare infiltrazioni di spie e di provocatori. Partecipava comandando una pattuglia alla battaglia di Malga campetto il 16 febbraio 44
Romeo rientrava definitivamente a Padova ai primi di aprile e il 24 maggio 1944 finiva in mezzo al primo rastrellamento di Cadoneghe. Riusciva a sfuggire alla cattura nascondendosi, con l’aiuto delle famiglie “Babain” (Fassina dell’Isola), dentro una botte capovolta. Nello stesso momento però, le “Brigate nere”, catturavano suo fratello Urbano (e tre giovani del paese) e, dopo circa quattro mesi di carcere, lo inviavano nel “Campo d’internamento” di Bolzano fino alla Liberazione. Romeo allora riparava nella zona di Torre (PD), restando a collaborare con le formazioni locali sino al 25 aprile i945.
Dal C.L.N. veniva nominato Sindaco di Cadoneghe (su proposta avanzata nel gennaio ’45 dal Comando del 6° Btg. “Sparviero”) rimanendo in carica fino all’autunno del 1946 (il C.L.N. di Cadoneghe si era costituito nel luglio 1944 ed era composto dall’insegnante Prof. Enrico Bedin per la DC, dal commerciante Silvio Giacotti per il PRI, dal veterinario dott. Nazzareno Girotti per i PSI(UP), dal daziere Antonio Frigo e dal Partigiano Vittorio Fascina per il PCI).
Nel febbraio del 1946, in un momento di riflessione personale, Romeo sposava Gina Bordin (per otto lustri compagna della sua vita).
Con le prime elezioni amministrative del dopoguerra, Romeo veniva eletto consigliere comunale per la “Lista del Lavoro” (PCI, PSI, Indipendenti) e nominato Assessore all‘Assistenza e Presidente dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza), ricoprendo tali incarichi per quasi venti anni e durante il tempo libero. In fabbrica, alla “Breda”, Romeo amava ripetere ai lavoratori che, per lottare a testa alta e senza compromessi per i propri diritti, bisognava fare, e bene, il proprio dovere.
Nel 1958, dopo una dura e lunga lotta che aveva coinvolto la popolazione di Cadoneghe e parte dei paesi limitrofi, coerente con le sue convinzioni politiche, Romeo seguiva la sorte di altri cento lavoratori della “Breda” licenziati per rappresaglia. La “Breda” di Cadoneghe era nota per la sua produzione qualificata e per la forte e radicata sindacalizzazione e politicizzazione delle sue maestranze.
Più tardi il suo amico d’infanzia, l’industriale Griggio Guerrino, gli offriva la direzione tecnica della sua azienda metalmeccanica, tutt’ora costruttrice di macchine per la lavorazione del legno. Romeo restava alla “Griggio G. & G.” per dieci anni, apportando delle innovazioni tecniche tali da contribuire allo sviluppo della stessa azienda meccanica; avendo nel contempo la possibilità di utilizzare l’orario flessibile e di adempiere così, con maggiore serenità, ai suoi impegni di amministratore pubblico.
Verso la fine degli anni Sessanta i rapporti con l’amico industriale si incrinavano e Romeo si ritirava; anche perché stava per maturare la pensione per il raggiungimento dei trentacinque anni di lavoro. In seguito si dedicava completamente all’attività politica e alla segreteria della locale sezione intercomunale dell’ANPi. Dopo aver dedicato “con religiosità“ tanti anni della sua esistenza alla causa dei lavoratori e alla democrazia, Romeo cessava di vivere il 14 settembre 1986 nella sua modesta abitazione, nella sua Cadoneghe. Ai suoi funerali, che si sono svolti in forma civile, hanno partecipato: le Autorità Comunali, le Associazioni Combattentistiche e Democratiche, i rappresentanti dei partiti (DC, PRl, PCI. PSDI, PS1, Gruppo Indipendente Socialista R. Lombardi), una delegazione della “Brigata Stella” del “Gruppo Divisioni Garemi” e migliaia di cittadini di ogni ceto sociale”.
N.U.
Padova 29-3-87
NOTA
Gina Bordin Zanella, compagna di “Germano”, in una sua lettera del 3-11-88 afferma che “Romeo quando era nel Friuli con il cugino “Giani” ha fatto parte della commissione per la frontiera Italia-Jugoslavia“.
E ancora: “tornato dall’Africa, Romeo nel 1939 da settembre a dicembre fu richiamato alle armi nel 72° fanteria a Vittorio Veneto; tornato poi al lavoro con l’esonero perché la sua fabbrica era militarizzata“.
A proposito del centro di collegamento istituito a Vicenza da Antonio Bietolini (“Bruno Morassuti”) presso il negozio di Oddo Cappannari dice: “… io nell’inverno 1943-44 per un breve periodo, perché dopo ho dovuto smettere perché i fascisti mi cercavano, portavo dei manifesti al negozio del cappellaio e al magazzino della STANDA chiedendo del direttore, con la parola d’ordine: gli ho portato i campionari“.
Aggiunge che si è sentita di fare questo avendo un fratello prigioniero in Germania e un altro ucciso nel carcere militare di S. Leonardo a Verona, non avendo notizie di Romeo “Germano”, suo futuro sposo, e perché la guerra potesse finire presto.