La mia famiglia si è trasferita da Badia Calavena (Verona) a Maglio di Sopra (Valdagno) nel 1925 perché mio padre, che aveva un magazzino all’ingrosso di generi alimentari, era sottoposto ad angherie e ricatti e non poteva più uscire di casa.
Alcuni parenti e conoscenti di Maglio, i Lupatini e i Germani, l’hanno consigliato di venire nella Valle dell’Agno. Ha comperato due appartamenti in centro a Maglio di Sopra. La mia famiglia, composta dai genitori e da cinque figli (quattro sorelle e il sottoscritto) era frequentata dal dott. Mario Visonà che, ad un certo punto, ha suggerito al mio papà di fare il cantiniere al dopolavoro “Ausonia”. Il locale, gestito da Carlo Perlati, è stato chiuso nel 1940, per ospitarvi alcuni profughi che venivano dalla Libia.
Io ho proseguito gli studi fino al terzo ginnasio, poi ho cambiato indirizzo e ho conseguito la licenza di avviamento industriale e tessile.
Nel 1935, a 15 anni, mio padre mi dava l’incarico di fare la guardia, dopo la chiusura del locale, mentre un gruppo di antifascisti suoi amici ascoltava “Radio Londra“. C’erano Rossato Narciso, Luigi Lacchin, Otello Randon, Umberto Zerbato, Ruggero Cocco, Abelli Camillo, Virtoli Ruggero, Italo Rossi, Pretto Onorino detto “Paje”, Mario Randon, Sandro Serraglia, Armido Montagna, a volte anche Visonà Severino “Nave”. Ad alcuni incontri ha partecipato anche il dott. Mario Visonà.
L’ascolto, con una breve interruzione nell’estate del 1935, è andato avanti fino al 1940. Nel 1938 mio padre e Otello Randon sono stati convocati alla sede del fascio di Valdagno, in piazza Dante, a causa della radio. Sono stati ricevuti dal signor Ghello, alto funzionario della Marzotto, il quale ha assicurato che aveva la prova certa dell’ascolto notturno di trasmissioni proibite. Testimoni a carico erano un certo Zordan detto “King Kong” e un certo Lora detto “Bronzetto”. Mio padre se l’è cavata dicendo che una sera aveva dimenticato la radio accesa, per questo si sentiva dalla strada. Nonostante ciò, l’ascolto è poi ripreso.
L’ambiente familiare era contro il fascismo, cosi pure l’ambiente sociale di Maglio di Sopra, di formazione operaia. Avevo sentito parlare, da ragazzo, del gruppo della “rumba”, della camicia particolare che i giovani del gruppo indossavano, delle gite e delle feste che organizzavano, dei loro incontri con i giovani di Schio e del loro arresto. Ricordo ancora la folla che c’era ad attenderli al loro rientro dalle carceri. Venne avanti Fumiani Domenico figlio di “mamma Gigetta”, che annunciò : “Sono in arrivo!”.
Quel giorno ci fu grande festa a Maglio.
Spesso ho assistito agli scontri fisici che avvenivano tra giovani antifascisti e fascisti davanti all’Ausonia e al Caffè Roma.
Oppure nel vicolo scuro della “Fontana del Bauco”.
Negli incontri clandestini presso il locale di mio padre spiegavano e commentavano la costituzione russa. Gli articoli venivano presentati da Pretto Onorino “Paje”.
Nel 1938 sono entrato in fabbrica, al lanificio Marzotto di Valdagno, addetto al reparto apparecchio-cimatura. Sono stato allievo di Pasquale Zordan, detto “Nani Sette”, che era meccanico specializzato di reparto. Dopo meno di un anno sono stato promosso “assistente tessile” di reparto e assegnato alla “Sala Bianchi”, dove facevano tirocinio gli assistenti novelli. Zordan Pasquale era molte esperto, aveva la capacità di rettificare pure i cilindri delle cimatrici, riparava qualsiasi motore, perfino le presse. Ho appreso tante cose da lui e dal suo esempio.
In servizio di leva il 18-3-1940, sono stato inviato al Distretto militare di Bolzano e poi, per l’istruzione, all’11° Divisione Brennero, 232° Reggimento. Allo scoppio della guerra sono stato avviato sul fronte occidentale. Poi, nel dicembre 1940, sono stato mandato in Albania e quindi in Grecia. Per infermità contratta a causa di servizio sono ritornato in ltalia il 31 luglio 1941. Dopo alcuni periodi trascorsi presso vari ospedali militari, sono stato collocato in congedo illimitato provvisorio il 5-2-1942 (sempre per cause di servizio).
Ho ripreso così il lavoro presso il reparto apparecchio-cimatura della Marzotto di Valdagno. Richiamato in servizio il 24-3-1942 presso il 93° Reparto Distrettuale di Bolzano, ci sono rimasto, con periodi diversi di malattia e di convalescenza passati in ospedale e a casa, fino al 22-6-1943. Il giorno dopo sono ripartito per la mia abitazione senza licenza, allontanandomi dal mio posto. Nelle campagne militari di Francia, Albania e Grecia lo spirito contro la guerra e l’avversione nei confronti dei fascisti erano diffusi e sentiti tra i soldati di leva. Nelle frequenti convalescenze trascorse a casa, avevo mantenuto e allargato i rapporti con tanti amici antifascisti.
Nel marzo 1943, dovendo ripartire per Bolzano dopo un periodo di convalescenza, Bruno Gavasso e Gianni Lotto mi avevano consegnato un pacchetto di volantini del Partito Comunista e di “Giustizia e Libertà” perché li distribuissi ai miei compagni a Bolzano, e così feci.
Agli ultimi di aprile del 1943 sono stati arrestati per attività antifascista alcuni giovani valdagnesi, tra i quali Rino Marchesini, Nino Ponza, Alberto Visonà, Cesare Visonà (trasferito poi all’ospedale civile di Valdagno), Gianni Lotto. Dopo qualche giorno sono stato arrestato anch’io, a Bolzano, perchè il mio indirizzo è stato trovato tra le carte di Sergio Perin. Sono stato consegnato in cella per trenta giorni, ma la mia prigione è stata certamente più lieve di quella subita dai miei amici di Valdagno. Mio padre e mia sorella Cornelia sono venuti subito a farmi visita. Il Col. Ghinozzi, comandante del Distretto militare di Bolzano, era un antifascista e, quando sono uscito di cella, mi ha consigliato di prendere il largo e di ritornare a casa. Per questo il 23 giugno 1943 ho chiesto un permesso, mi sono allontanato dal servizio e non sono più rientrato.
Ritornato a Maglio di Sopra ho saputo che al “Roccolo del Grumo”, una collinetta vicina alla Miniera, si riunivano, nella stagione propizia, diversi miei conoscenti e discutevano dell’andamento e della fine della guerra, della preparazione contro il fascismo e della situazione nuova che si sarebbe profilata per il popolo. Ho partecipato anch’io a tre incontri. Ricordo, fra i partecipanti, Giuseppe Pontarin, Michele Cracco, Otello Randon, Sandro Serraglia, Armido Montagna, Luigi Lacchin, Mario Randon, Severino Visonà, Silvio Albertini e altri. Erano di oriemamento comunista. Tovo Pietro non approvava gli incontri allargati, perchè poco sicuri e pericolosi.
Una riunione importante era stata tenuta il primo maggio 1943 presso la “Trattoria al Sole” di un certo Fochesato, in località Seladi di S. Quirico. Io ero stato messo in guardia. Erano presenti Tovo Pietro, Guadagnin Alfeo, un funzionario della Federazione comunista di Vicenza di cui non ricordo il nome, Bruno Gavasso, Remo Pranovi, Visonà Severino, Cenzi Virgilio, Paolo Carbognin, Zordan Pasquale “Sette” e altri.
Ho saputo che era stata fatta un’altra riunione di uguale livello il primo maggio 1942, presso il medesimo locale. Non so riferire gli argomenti discussi, perché sono rimasto a vigilare per più di un’ora, poi come d’accordo sono andato a casa.
Trascorrevo le mie giornate in famiglia, alla Miniera, a Campotamaso; gli altri credevano che fossi in convalescenza.
Il 25 luglio 1943, giorno della caduta di Mussolini, mi trovavo all’osteria della “Beppa”, ai Bucchini. Sono stati i fratelli Massignani, Archimede e Corrado, a dare la notizia. Era a casa in licenza pure ltalo Rossi. Abbiamo ascoltato il comunicato radiofonico e subito siamo stati presi da un grande entusiasmo. Tutti i presenti sono partiti in sfilata, gridando di gioia e cantando canzoni popolari, tra cui “Bandiera rossa”. Abbiamo raggiunto l’osteria di Migani Oreste a Maglio di Sopra. Poi siamo scesi in piazza a Valdagno, C’era tanta folla. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di Baù Ferruccio, affacciato al balcone del Municipio. Qualcuno scattava fotografie, per conservare il ricordo della meravigliosa giornata. Il 27 luglio 1943, visto che i giovani antifascisti ancora in prigione non tornavano, ltalo Rossi, Severino Visonà ed io ci siamo recati a casa di Rino Marchetti a Maglio di Sopra a mezzogiorno e mezzo. Non ci volevano aprire. Abbiamo scosso allora la porta, finché si è aperta e abbiamo chiesto il loro rilascio immediato. Qualche ora più tardi è corsa voce che erano tutti ritornati a Valdagno. Era vero. Per ultimo è arrivato Nino Ponza.
Dopo il 25 luglio partecipo ad incontri alla collinetta del “Grumo” e al Caffè Roma; Paolo Carbognin e il dott. Mario Visonà sono spesso presenti agli incontri presso il Caffè Roma. Verso la fine di agosto 1943, in seguito ad una visita a casa da parte dei carabinieri, che sono alla mia ricerca. i compagni mi consigliano di presentarmi dal dott. Narcisi per ottenere un certificato di ricovero ospedaliero. Il dott. Narcisi mi rilascia il documento ed entro all’ospedale civile di Valdagno. Di lì mi avviano all’ospedale militare di Vicenza, al reparto “Umberto I”. Sergio Perin, con altri amici, mi accompagna a Vicenza e mi presenta Remo Pranovi. Così riesco ad avere una “copertura”.
L’8 settembre 1943 sono all’ospedale. Ad un certo momento mi accorgo che sono spariti tutti. Io esco, mi reco da un amico, un certo Capri. Lui mi presta una bicicletta. Pedalando arrivo fino a Castelgomberto. Lascio la bicicletta in canonica e mi vengono forniti degli abiti civili. Mi cambio e prendo il trenino. Arrivo cosi in famiglia il 9 settembre 1943. Prendo subito contatto con “Nave” (Visonà Severino) e il giorno 11 settembre “Nave”, Nico Zanotelli ed io ci rechiamo a Castelvecchio, nella villetta del padre di Nico. “Nave” gli chiede aiuto e alloggio per i giovani militari sbandati. Proseguiamo poi fino alla contrada Bertoldi e veniamo accolti con cordialità presso la famiglia di Dal Chele Angelo. “Nave” domanda pure al Dal Chele appoggio e ospitalità per gli sbandati. Angelo Dal Chele e i suoi figli Vittorio e Isacco si dichiarano pronti e disponibili. Capisco che Visonà Severino ha con questa famiglia, che poi sarà un punto di riferimento sicuro per il movimento partigiano, un solido legame di conoscenza e di amicizia. Mangiamo e dormiamo alla baita del “Sacco”. Il giorno dopo siamo all’osteria della Beppa. ll locale è pieno di lavoratori. Ci sono, tra gli altri, ltalo Rossi e Francesco Venezia. Durante la riunione si parla apertamente di salire in montagna, di cominciare la lotta contro i tedeschi e i fascisti. Prima di partire per la montagna, compio con “Nave” altre due puntate ai Bertoldi di Marana per sistemare alcuni giovani militari sbandati.
A metà del mese, all’apparire del manifesto tedesco che prescrive le “disposizioni generali per l’ordine pubblico” decidiamo di trasferirci sui monti con le armi che abbiamo a disposizione. Condivido con Italo Rosssi “Pedro” e gli altri miei compagni l’esperienza del gruppo “Campetto-Senebele-Rifugio Valdagno”. Ritengo doveroso sottolineare che ltalo Rossi era conosciuto, stimato e ascoltato da tutti. Abbiamo avuto diversi contatti con il parroco di Fongara; con lui abbiamo stabilito il “segnale” di allarme in caso di pericolo per il “gruppo”. Ricordo la benevolenza dell’oste Patrizio e di molte famiglie montanare verso i partigiani.
A proposito di un altro gruppo che doveva esserci allo Spitz, è stato Massignani Archimede a darci la notizia. Era sceso per prendere dei rifornimenti e si era incontrato con Pietro Tovo, che gli aveva indicato di prendere contatto con un gruppetto di quattro elementi di stanza alla casa di residenza estiva dello Spitz. Due volte ci siamo andati, Italo ed io, ma non siamo mai riusciti a stabilire alcun contatto. Ogni volta che qualcuno del nostro gruppo passava per andare a prendere il latte controllava, ma non è mai riuscito a trovare nessuno. Un giorno, dopo un mese che eravamo sui monti, sono passati due giovani dall’aspetto distinto, forse ufficiali renitenti. Hanno detto che Marana era un luogo più adatto per il nostro gruppo, ma siamo rimasti dove eravamo. È stato poco prima della decisione di rientrare nelle nostre famiglie, in dicembre, che abbiamo fornito assistenza ed aiuto ai prigionieri angloamericani e al canadese, fuggiti da un campo di prigionia che doveva esserci tra Arzignano e Monteforte d’Alpone.
Proveniente dai Castiglieri, Gino Soldà è venuto su sicuro con loro e ci ha spiegato che era stato mandato da un professore di Vicenza in collegamento con Piero Stella (Tovo).
Sono stato incaricato io di condurli a Staro. Siamo passati sotto la Gazza (Rifugio Battisti) e ci siamo tenuti sopra le contrade alte di Recoaro e di Staro. Abbiamo atteso presso una casa contadina l’arrivo di don Antonio e gli fu riferito che ero inviato con il gruppo di ex-prigionieri da Gino Soldà. Compiuta la missione, sono ritornato sui miei passi, contento di aver conosciuto nel parroco di Staro Ziliotto un altro amico degli antifascisti e dei “ribelli”.
Ritornato a Maglio, vivo in contatto con “Nave”, che mi fa dormire con lui dentro la miniera, dove teneva le mitraglie recuperate dopo l’8 settembre. Verso la fine di dicembre con lui raggiungo Villa Zanotelli a Castelvecchio. Trovo, lassù, Nico, suo padre, Rino Marchesini, il prof. Dal Prà, Bruno Gavasso, Sergio Perin, Alberto Visonà. Dai loro discorsi capisco che si sono incontrati varie volte. Sono esponenti del Partito Comunista e del movimento “Giustizia e Libertà“. Discutono della lotta contro i tedeschi e i fascisti e dell’Italia futura. Parlano di papà Zanotelli come dell’elemento più valido a ricoprire l’incarico di futuro sindaco di Valdagno, alla fine della guerra. Nel periodo 25 luglio – 5 settembre 1943 uno dei punti d’incontro tra noi era alle Fonti di Reeoaro, al concerto; partecipavano Sergio Perin, Bruno Gavasso, Alberto Visonà ed altri. Poi “Nave” mi accompagna a Marana, dove ha costituito un rapporto solido con 7-8 famiglie; stabilisce accordi con Vittorio Dal Chele e con “Penna” (Cavaliere).
Nel mese di gennaio 1944 ho partecipato a due riunioni, una a casa di Tovo Pietro e l’altra a casa di Sergio Perin, a Valdagno. Oltre a Tovo e al sottoscritto, erano presenti Bruno Gavasso, Rino Marchesini e la dottoressa Bruna Miste. Argomenti dei due incontri: lo sviluppo delle formazioni partigiane sui nostri monti e l’azione politica, la rete capillare di sostegno, di aiuto in mezzi e in uomimi a Valdagno e negli altri centri della Valle. Tovo sosteneva vigorosamente la necessità della lotta armata, ricoprendo con esempi precisi e concreti il ruolo di effettivo responsabile militare.
Fu “Nave” a parlarmi del comandante “Giani”. Mi parlava anche di “Giorgio” e di “Franco”, membri della formazione partigiana che operava sui monti della dorsale Agno-Chiampo. Lui era collegato al gruppo di Malga Campetto. In questo periodo, Piero Stella mi indicò di rientrare in fabbrica e così tornai al mio posto di assistente alla apparecchio-cimatura di Valdagno. Ripresi contatto con Zordan Pasquale “Sette”, che apertamente mi disse di far parte dell’organizzazione comunista clandestina. Ho sentito parlare allora del Partito Socialista e di un esponente socialista a Valdagno. Era Nino Cestonaro, suo figlio si chiamava Toti. Ho saputo anche del parroco di Novale, di indirizzo antifascista, Abbiamo pure avuto una riunione in canonica. Con me c’erano “Nave”, Sergio Perin, Rino Marchesini, Paolo Carbognin e altri. Si è parlato del movimento partigiano, della necessità di
avere maggiori contatti con i partigiani. ll parroco si è offerto come punto di riferimento dei rapporti con le formazioni di montagna.
All’interno della fabbrica, ho collaborato con Zordan Pasquale “Sette” alla preparazione e alla riuscita degli scioperi del marzo 1944. Subito dopo lo sciopero, in dieci siamo stati fermati e condotti nell’ufficio del capo del personale Eortoli. Ricordo Olivieri Silvio di Valdagno e Visonà Mario, anche lui detto “Sette”, gestore del cinema Dante. Ci siamo trovati di fronte due soldati e un ufficiale tedesco che ha tenuto un lungo sermone nella sua lingua. L’interprete ci ha spiegato, tra l’altro, che noi dieci al prossimo sciopero l’avremmo pagata per tutti. Immediatamente ho informato Zordan Pasquale che mi ha consigliato di allontanarmi dalla fabbrica.
Due giorni dopo ho lasciato il mio reparto, appoggiandomi a “Nave”. Trascorrevo il mio tempo con lui, collaboravo e lo aiutavo a sbrigare i suoi impegni. Di notte tornavo a casa a dormire.
Nel mese di aprile 1944, ebbi il primo incontro con Rigodanzo Alfredo (“Ermenegildo-Catone”) alla contrada Visonà, sotto Castelvecchio. Lo conoscevo perché avevo studiato con lui. “Catone” mi invitò a Selva di Trissino, però tornai alla miniera con “Nave”. Dopo qualche giorno ebbi un secondo incontro con lui. Gli dissi che avevo deciso di restare con “Nave”. Alfredo Rigondanzo, allora, mi indicò di contribuire, con Visonà Severino “Nave”, alla formazione di un gruppo partigiano nella zona della Miniera-Maglio-Campotamaso-Castelvecchio.
Il 28 aprile, alle cinque del mattino, sono venuti ad arrestarmi il maresciallo Mursia e due carabinieri. Dopo aver perquisito la mia abitazione e prelevato due coperte, sono stato condotto in caserma e sottoposto ad interrogatorio. Mi hanno chiesto se ero stato nelle località di Marana e di Crespadoro. Ho risposto negativamente. All’interrogatorio assistevano anche due militi fascisti. Sono stato poi lasciato solo per un bel po’ di tempo. Sembrava che in caserma non ci fosse più nessuno, era quasi un invito a fuggire. I militi mi hanno quindi accompagnato alla stazione per
condurmi in prigione ma, in mezzo a tante persone che c’erano, Germano di Maglio e mia sorella Giannina mi hanno aiutato a fuggire. Sono salito di corsa a Poggio Miravalle e poi mi sono rifugiato presso Olivieri Silvio, in via Figigola. Mia sorella Giannina, probabilmente anche per questa sua azione, è stata arrestata alla fine di novembre 1944. Con lei sono state pure arrestate Flora Cocco, Iside Broccardo e Bertilla Mistè. Condotte a Vicenza presso il carcere di S. Michele, sono state tenute in prigione fino alla Liberazione. in cella con De Cao Angelina, arrestata a S. Benedetto di Trissino il 28 novembre. Da via Figigola salgo alla contrada Visonà, dove abita la mia fidanzata. Dopo 10-15 giorni, essendo stata due volte circondata dai fascisti la contrada ed essendo io sfuggito alla cattura, mi sposto ai Bertoldi, presso la famiglia Dal Chele.
Da questo momento inizio una collaborazione più stretta con “Catone“ (Alfredo Rigodanzo) che informo della mia posizione. Lui mi incarica di prendere contatti con “Tigre” (lntelvi Luigi), che milita nella formazione di Giuseppe Marozin detto “Vero”, per favorire rapporti di buon vicinato con il Btg. “Stella” di “Pino” (Clemente Lampioni) e di “Dante” (Luigi Pierobon) e per valutare l’eventuale suo passaggio alla formazione garibaldina. Con me c’è Nico Zanotelli “Robin”.
Prendo vari contatti con Intelvi Luigi. Resto con lui per 5-6 giorni prima, durante e dopo il rastrellamento del 5 luglio 1944. Riferisco a “Catone“ che il passaggio di “Tigre“ alla Stella non è certo. Poi, invece, altre condizioni determinano il suo trasferimento alla “Brigata Stella”. Ho contatti anche con Turra Giovanni “Poker“, che conosco bene perché abbiamo studiato insieme. Lo invito a passare con la Stella: mi risponde che ha un debito di riconoscenza verso Marozin, che gli deve la vita perché l’ha sfamato nel marzo 1944, mentre si trovava in una situazione molto difficile. Da allora siamo rimasti amici come prima, fino alla sua morte.
Intensifico la mia attività, sempre in contatto con “Nave” e con “Catone”. Scendo alla contrada Visonà, dove si raccoglie una cinquantina di giovani decisi ad impegnarsi contro i nazifascisti. Dopo il rastrellamento e l’eccidio di Piana del 9 settembre 1944, essi diventano il nucleo fondamentale del Btg. “Leo”, comandato all’inizio da “Nave” e poi da “Malga“ (Zordan Luigi Mario). Seguo tutte le vicende del battaglione, di cui ricopro l’incarico di commissario, fino alla liberazione di Valdagno”.
Lago di Quargnenta 1-8-1987
NOTA
Giovanni Dante Perlati, “Giove“, nato a Badia Calavena (Verona) il 20-5-1920.
Licenza di avviamento industriale e tessile. Operaio, poi assistente del Lanificio Marzotto di Valdagno (Vicenza). Nel dopoguerra commissario interno di reparto; dopo il 1948 commerciante.