Lasciamo che parli lui stesso che dalla sua relazione si vede tutta la vita della Brigata Stella
La mia vita di partigiano, ha avuto inizio il 9 Settembre del 1943. Il 9 settembre, ho sottratto dalla cattura da parte delle forze Tedesche, quattro soldati d'Artiglieria ed un Carabiniere, recuperando: cinque carabine, una pistola mod. Berretta e bombe a mano in quantità. Il giorno 10 dello stesso mese, con due dei soprannominati e cioè con Franco Macolli e Gerardi Romolo, mi sono portato sulle alture adiacenti a Maglio di Sopra, in località Bevilacqua, dove prestava servizio la ex Milizia Contraerea. Per impedire che le armi del distaccamento fossero consegnate alle forze Tedesche, ho dovuto agire con la forza delle armi. All'intimazione, il Cap.le Maggiore comandante, mi ha consegnato: le due mitragliatrici antiaeree del tipo S.t Étienne con 20 cassette di relative munizioni, inoltre 10 moschetti e parecchi caricatori.
Subito, diedi al compagno Pietro Tovo, notizie e ragguagli in merito. Decidemmo di nascondere il bottino in una galleria del monte Pulli. Essendo in continua relazione con l'on. Marchioro, con Gavasso, Perin e Pontarin, del comitato cui ho accennato, il primo mi disse che le armi dovevano servire ai partigiani e che quanto prima mi avrebbe mandato un addetto militare per vagliarne l'efficienza e la qualità d'impiego e per esplorare inoltre una zona onde stabilire se fosse più o meno adatta alla dislocazione di partigiani.
Una sera, mentre mi trovavo nel laboratorio del compagno Tovo, dove di consueto, mi venivano impartite le direttive di carattere militare, essendo lui l'addetto del luogo, giunse “Aramin” il consulente inviato dall'on. Marchioro. Lo misi al corrente della situazione delle armi in mio possesso. Disse che erano sufficienti per armare i primi nuclei di partigiani. Quanto ai viveri, io ed il Tovo, avevamo già da parecchio tempo, fatta buona scorta nella mia abitazione. Nei primi giorni del mese di Dicembre, giunsero al Monte Spitz, antistante Fongara, i primi partigiani capeggiati da “Giani” e “Pino”. Sono salito con il mio compagno Armando, per portare loro viveri e medicinali. Ci chiesero delle armi, e abbiamo portato loro una S.t Étienne e dei moschetti. Così si ebbe la prima formazione della zona, la zona da me preparata e con armi procurate a mio rischio. Il Tovo, il giorno stesso in cui avevo prelevate le armi dell'ex Milizia, con un audace colpo di mano, ne aveva catturate altre due in località Magaraggia e di queste, mandò due S.t Étienne a Marana da Vittorio Dal Chele.
15 giorni dopo, recatomi a Marana, vedendo che le armi erano mal tenute, le ho fatte trasportare nella mia abitazione, nascondendole tra il soffitto ed il tavolato della camera. In seguito, le ho consegnate agli uomini della mia brigata e precisamente al capo pattuglia “Ubaldo” il quale stanziava in località “Faresele”. In data non precisa, il Tovo m'informò che a Marana, presso Gavasso e Perin si trovavano tre soldati Neozelandesi che bisognava accompagnarli, per maggior sicurezza, a Fonte Abellina da “Marco”. Quest'ultimo, poi, li mandò alle “Faresele”. Ma poiché erano di nuovo in pericolo, li riaccompagnai a Marana, in attesa di studiare con “Tovo” e “Marco”, il piano per farli passare in Svizzera. Avuta conferma ed assicurazione del “Tovo” di detta possibilità, li mandai a prendere da mio figlio Giuseppe. Da casa mia li ho accompagnati alla stazione con “Tovo” e “Marco”. “Soldà Gino” li prese in consegna e li portò senza indugiare a destinazione. Sono partiti alle ore 17. Alle 19, il comandante del Presidio Tedesco di Valdagno era già a casa mia, certamente informato da spie, ma non trovò alcuno. Anche i miei figli, interrogati, negarono la presenza dei Neozelandesi. Il 5 luglio del 44, con Armando, Piola, Canarin, Cervo e Milo, mi recai in località “Musci”. Di lì, il 7 ripartimmo per Campo Brun, dove doveva cadere un lancio. Abbiamo fatto sosta a Campetto e all'alba del giorno 8, riprendemmo la marcia. Ma, oltrepassata di una ventina di metri la galleria delle “Faresele” cademmo in un'imboscata, tesaci dai Tedeschi. Ne seguì una scaramuccia, durante la quale fui ferito, ma non gravemente.
Due compagni mi accompagnarono a Recoaro, dove, dalle staffette, ricevetti i primi medicamenti.
Al comando trovai Iura, Dante e Pino, i quali mi affidarono il delicato compito di portare aiuti morali a quelle famiglie, maggiormente colpite dalla rabbiosa rappresaglia Tedesca, a “Marana”. Il primo agosto del 44, “Alberto”, comandante della Caremi mi mandò a raccogliere un lancio nei pressi del capitello della “Camonda”. Ai “Facchini”, incontrai “Dante”, con altri partigiani. Improvvisamente una grossa pattuglia di Tedeschi, ci scaricò addosso un inferno di piombo. Reagimmo, ma quattro dei nostri furono catturati e portati a Recoaro. Due di loro furono feriti.
A malapena sfuggito, raggiunsi la località “Peserico” dove incontrai “Iura” con i suoi che stavano per venire in nostro soccorso. Informato dell'accaduto “Iura” ci fece appostare ai lati della “Provinciale” con la speranza che i “quattro” fossero trasportati a Valdagno. L'attesa fu vana. Allora, alla sera, eravamo una trentina, decidemmo di attaccare e d'invadere le carceri di Recoaro, per liberare, anche a costo di duri sacrifici, i prigionieri. L'azione non ha avuto fortuna. “Ruiz” è stato ucciso. Per ordine di “Marco” dovetti recarmi in località “Castagna” per curare un ferito. Vi rimasi per qualche tempo con: Armando, Rifles e Pantera. Avuto sentore di pericolo, abbiamo trasportato il ferito a “Torigi” e lo affidammo alle cure delle donne e dei ragazzi sbandati.
Dopo il micidiale rastrellamento della “Piana”, Iura mi ordinò di recarmi nelle vicinanze di “Campotamazzo” dove incontrai, oltre allo stesso Iura, Catone, Giro e Malga ed altri superstiti. Erano venuti con me “Rifles” ed “Elsa”. Con altri, si era formato tutto il comando della Brigata Stella.
Saltuariamente temporeggiavamo tra la “Selva” e “Pugnello”. Verso la fine di settembre, Iura e Catone, mi affidarono il non facile incarico di formare un nuovo battaglione del quale sarei stato il comandante. Scelsi il nome di “Leo” e questo battaglione ha lottato fino alla fine delle ostilità, non mai venendo meno al significato dell'appellativo.
In ottobre, la staffetta “Marte” m'informò che nella sua abitazione, tre uomini e cioè: “Corsaro, il Dott. Giani e Pitter, attendevano per essere incorporati dalle nostre formazioni. Presentai il quesito a Iura il quale accondiscese ad immatricolare i tre uomini di Marosini. In seguito, fui inviato in località “Campo d'Albero” con il commissario di divisione del mio battaglione: “Tempesta” per riorganizzare gli uomini abbandonati da “Marosini” e formammo così, nuovi battaglioni. Di ritorno, a qualche passo da “Marana” (io e Tempesta, accompagnavamo un pilota americano lanciatosi con il paracadute, il quale accusava parecchie ammaccature) fummo presi alla sprovvista da una quarantina di tedeschi. Ci siamo difesi, ma fummo costretti a fuggire e fortunatamente illesi. L'Americano restò con noi fino alla sua completa guarigione, poi lo consegnammo alla missione Inglese ai “Musci”, composta da: “Dardo e Colombo”.
Nel mese di settembre, informato dalla staffetta: “Ivonne” che presso lo stabilimento di Maglio di Sopra, c'erano molti viveri ed altri oggetti, utilissimi alla Brigata, scrissi a “Malga” di chiedere a “Iura” il consenso di fare il colpo di mano. Avutone conferma, con i camions di Marco, io, Malga, Armonica e Tempesta, portammo a termine felicemente l'impresa. Ma al posto di blocco del Ponte dei “Nori”, successe l’imprevisto. Fermati, aprimmo il fuoco e uccidemmo uno delle brigate Nere, di guardia, ma di fronte a forze di maggioranza troppo schiaccianti, abbiamo ceduto e a malincuore ci siamo visti sequestrare e camions e merce. L'11 gennaio 1944 [recte: 1945] mi trovavo a Campotamaso in località Zanusi. mentre dormivo fui improvvisamente svegliato dalla padrona di casa che mi avvertiva che era in corso un grave rastrellamento. Mi alzai immediatamente e per non mettere in pericolo i miei ospiti, rinunciai a nascondermi nell'interno della casa, e sfidando i fascisti, che la avevano circondata, uscii da una porta che dava sul retro della casa e nonostante l'impaccio dell'alta neve, riuscii a mettermi in salvo, nonostante l'inseguimento durato 90 minuti. In seguito seppi che il rastrellamento era stato organizzato al fine di catturarmi, e che il nemico era stato avvisato del mio nascondiglio da spie. L'accanimento nei miei riguardi è spiegabile solo se si abbia presente che mi ritenevano l'organizzatore più pericoloso. Un'altra volta nel marzo 45, pure su avviso di spie, i fascisti mi appostarono all'uscita di una galleria della miniera dei Pulli, che si trovava presso la mia casa. Essendo io riuscito a fuggire anche questa volta quasi miracolosamente, si recarono presso la mia famiglia minacciandola di gravi rappresaglie se non avessero parlato. Ma non potevano sapere niente.