Molti sentendo il nome pensano che Bedin fosse il cognome e Lionzo il nome di battaglia; in realtà Lorenzo prese il nome di Bedin, famoso ribelle e bandito.
Meccanico di biciclette privo di un occhio, per tale motivo sarebbe stato esonerato dai bandi di chiamata della Repubblica Sociale; volle invece fare la sua parte contro il fascismo. Gli è stata riconosciuta la qualifica di partigiano dal maggio 1944, prima della costituzione della Brigata Garemi.
Operò sui colli tra l'Agno e l'alta pianura veneta per la maggior parte del tempo nel battaglione "Cocco", comandato da "Furia" e "Spivack" che era inquadrato nella Brigata Nino Stella; dopo il devastante rastrellamento del 9-14 settembre 44 sia la Stella che il battaglione Cocco furono temporaneamente disarticolati e al Bedin fu affidato il comando del battaglione stesso che tenne per pochissimo tempo fino al rientro di Furia e Spivack.
Nel frattempo venne l'ordine, per i più esposti e conosciuti, di sparire sottoterra nei famosi bunker.
La delazione della presenza del Bedin a Priabona raggiunge a Malo il tenente Crescenzio Siena della GNR il quale, seguito da due militi (Armando Ceccato e Paolo Marinoni) e da un autista tedesco, sale a Priabona e colpisce alle spalle il “Bedin” all'uscita dal negozio del fornaio ancor oggi esistente. Il partigiano, nonostante le ferite al torace, riesce a raggiungere il Mulino Fochesato dove stramazza a terra. Raggiunto dai militi è finito con una bomba a mano. Non si ha notizia che Bedin si sia difeso; probabilmente aveva eseguito la disposizione di non recarsi nei centri abitati armato per evitare rappresaglie
Secondo Ugo De Grandis, a “Bedin” viene tesa un’imboscata da alcuni militi della GNR di Malo, all’interno del negozio a Priabona dei coniugi Marchioro, e ritiene che la sua eliminazione sia istigata almeno da un componente del CLN di Malo, all’interno di un conflitto più ampio tra elementi politicamente diversi della Resistenza.
Infatti, l’inchiesta dei Reali Carabinieri di Malo, condotta all’indomani della Liberazione, porta alla scoperta del contesto in cui è maturata la soppressione di “Bedin”, operata materialmente dalla GNR, ma su istigazione di almeno un componente del CLN di Malo, che in quegli stessi mesi aveva tentato più volte di sopprimere lo stesso Comandante della Brigata “Ismene”, Ferruccio Manea “Tar”.
Uno dei membri del CLN, Gaetano “Nello” Marchioro, cl. 05, è incarcerato assieme a Marinoni e Ceccato con l’accusa di collaborazionismo, essendo emerse le sue responsabilità dirette nell’aver più volte richiesto l’uccisione del partigiano e architettato la mortale trappola, mentre il ten. Siena è giustiziato nei giorni della Liberazione di Schio. Malgrado le evidenze, nell’ottobre ’45 i tre sono scarcerati per “insufficienza di prove”, ma nove anni più tardi il caso viene riaperto. Nell’aprile del ’54, in piena offensiva giudiziaria anti-partigiana, Ceccato e Marinoni sono nuovamente arrestati: la nuova inchiesta condotta dalla magistratura vicentina chiarisce in modo inequivocabile la promiscuità esistente tra GNR e CLN di Malo, che avevano individuato come obiettivo comune i partigiani garibaldini comunisti, contrari a qualsiasi trattativa con i nazi-fascisti.
Processati nel dicembre del ’54, i due militi sono definitivamente assolti “per manifesta infondatezza della denuncia”, mentre Gaetano Marchioro, che ha parlato al dibattimento solo come teste, non è sottoposto a giudizio: una sentenza che rispecchia pienamente il clima politico e giudiziario dell’epoca .
Il giorno 24 ottobre 2020 è stata ripristinata e la lapide sul luogo della morte; sotto le foto